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Il gioco del destino
Una piccola isola vicino una sua sorella più piccola, un mistero da scoprire e risolvere. Vite che si intrecciano tra passato e presente. Due persone che, per caso, si incontrano grazie ad un gioco del destino.
Manuel che scappa da qualcosa che ha compiuto, che lo insegue instillando in lui un mare di sensi di colpa. Edith, tedesca, che si rifugia nell’isola di Novembre per riportare alla luce qualcuno scomparso cinquant’anni prima per riportarla “a casa”, nel posto nel quale deve stare.
Il lettore, sin dalle prime pagine, viene catapultato all’interno del romanzo, le parole scorrono veloci, ben ritmate e la penna della D’Urbano si conferma essere accattivante già dall’introduzione del libro. Il suo stile semplice ed incisivo fa sì che chi legge venga catturato. Non ci sono lunghi paragrafi, descrizioni dettagliate che tendono a rallentare la lettura, eppure le immagini scorrono veloci in testa, grazie all’abilità dell’autrice di rendere tutto realistico.
I personaggi, nei libri della D’Urbano, non sono mai soltanto bianchi o neri, ma si compongono di tantissime sfumature diverse riempiendoli di colori, ed è una delle cose che apprezzo di più.
Tra i personaggi compaiono in modo indiretto: la madre, il padre e la ex di Manuel. Sono un po’ difficili da inquadrare visto che il protagonista spesso non vuole perdersi nei ricordi, ma soprattutto l’ex, per come è stata raccontata da Manuel, l’ho trovata un personaggio stereotipato: la solita femme fatale pronta a tutto per se stessa.
Parallelamente a loro, il lettore si ritrova nel 1952, seguendo le vicissitudini di Neve che, forte di carattere per la corazza che ha deciso di costruirsi, per il lavoro che deve necessariamente fare come se fosse un maschio, sogna di andarsene da Novembre in modo quasi inconscio, sogna Roma, così diversa nella sua testa da Novembre, dove tutti sono invece retrogradi. Viene così attratta dal prigioniero di Santa Brigida, un uomo che non incontra esteticamente la sua idea di criminale e, grazie a giochi del destino, Neve si ritroverà ad ascoltare la sua musica che ha il potere di allontanarla, di farla sentire davvero a casa, e a parlare con il detenuto, conoscendo così una persona diversa da quella che immaginava, un persona che “sta in pensiero” per lei sapendo che ha la possibilità di essere picchiata dal padre.
Arrivata quasi al 30% della lettura, ho pensato che lo stile della D’Urbano, nel tempo, è cambiato molto. È più descrittivo nelle azioni e meno introspettivo del suo titolo di esordio “Il rumore dei tuoi passi” e un po’ mi mancano le sue introspezioni che riuscivano a scavarmi dentro facendo sì che non volessi mai smettere di leggere.
Sebbene siano indispensabili i vari salti temporali tra passato e presente, a volte li ho trovati fastidiosi, soprattutto quando con la testa ero dentro il 1952 e, nel capitolo successivo dovevo fare mente locale di essere tornata al 2004.
La storia di Neve mi ha preso molto, catapultandomi in quelle due isole, sentendo quasi l’odore di salsedine.
Anche se il romanzo è composto di 500 pagine, il testo scorre talmente bene che si legge senza fatica, senza annoiarsi nemmeno un attimo.
I personaggi secondari sono ben sfaccettati, soprattutto Libero e Livia. Greta, invece, la trovo alquanto piatta, quasi un cliché di cui avremmo potuto fare a meno. L’ho trovata molto finta, sin troppo.
Trovo che “Isola di Neve” non sia all’altezza del libro di esordio della D’Urbano, ma penso che quello abbia un posto d’onore tra i miei libri preferiti e non ci sarà mai alcun romanzo che possa eguagliarlo.
Più mi avvicinavo alla conclusione del romanzo e più avevo un certo timore a finirlo. Non i volevo allontanare dai personaggi di “Isola di Neve”: Neve, Andreas, Libero, Manuel ed Edith.
E capisci che un romanzo ti è piaciuto, che ti ha preso tanto, proprio quando ti rendi conto che non vuoi salutare le “persone” che hai conosciuto, che ti hanno fatto compagnia per più giorni.
Ne consiglio sicuramente la lettura, come tutti i libri di Valentina D’Urbano anche questo ti si incastra dentro.