Dettagli Recensione
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Il canto del cigno di un uomo stonato
Marco Santagata concepisce una vicenda incentrata sull’individuazione di quale sia Il movente sconosciuto di azioni inconsulte, criminose, compiute da un personaggio al di sopra di ogni sospetto.
La ricerca del movente sconosciuto viene condotta dal punto di vista di marito e moglie.
Lui, Luigi Ferrari (“Seguito a chiedermi come sarebbe il canto del cigno di un uomo stonato”), patisce il rapporto coniugale (“E' nervosa, acida. Lo è sempre di prima mattina, ma questa mattina è più astiosa del solito”), ha trascorso una vita passiva (“Nella mia vita c’è sempre stato qualcuno o qualcosa che ha deciso per me”), da impiegato modello. Due volte si reca a Monticello (“Alle Fontanelle ci sono nato”) e commette due omicidi (“Sto dando di matto? Il mio cancro è al fegato, mica al cervello!”).
Lei, la moglie Ludovica, conosce – insospettata - il segreto del marito (“Non smettevo di rimuginare su perché Luigi lo avesse fatto, e non ne venivo a capo”), che ha sempre dominato (“Luigi è mite… mite?”), s’interroga sul movente (“Ma ad armargli la mano non era stata una malattia, ne ero certa”) e pensa di individuarlo (“Avevo il movente: il tumore!”), si giustifica (“Non ero stata io a tarpargli le ali, era lui che non aveva mai imparato a volare”), ma naturalmente è consumata dall’angoscia di vivere con i figli accanto a un assassino.
La dimensione più interessante è quella della duplice lettura degli eventi e anche del movente: lo stesso episodio o gesto ha un significato per Luigi e un senso differente per Ludovica.
Giudizio finale: inquietante, matrimoniale e duplice.
Bruno Elpis