Dettagli Recensione
Un originale esperimento
“Il castello dei destini incrociati” è un’opera di Italo Calvino la cui edizione definitiva uscì nel 1973, pubblicata dalla casa editrice Einaudi. L’opera si divide in realtà in due parti, la prima intitolata come il libro stesso mentre la seconda è intitolata “La taverna dei destini incrociati”. In questa opera Calvino racconta rispettivamente di un castello e di una taverna incantati in cui gli avventori o i viandanti che si trovano di passaggio perdono l’uso della parola, il loro unico modo di comunicare è rappresentato da un mazzo di tarocchi (78 carte): essi infatti, a turno, iniziano a gettare le carte del mazzo su di un grande tavolo fino a formare la loro storia, che naturalmente deve essere interpretata implicitamente dagli altri. Il modo con cui si leggono le carte cambia di volta in volta: quando dal basso verso l’alto o viceversa, quando da sinistra a destra o viceversa e così via. Alla fine, tutte le carte devono essere scoperte finché non si realizza un vero e proprio mosaico in cui le storie dei vari personaggi si intrecciano in modo unico (da cui il titolo), apparentemente confuso ma in realtà molto razionale. Il vero capolavoro di Calvino, in questa opera, non sono tanto le storie dei vari individui ma il lavoro per riuscire a incastrare quest’ultime tra di loro; i tarocchi sono una vera e propria macchina narrativa. Calvino ha inoltre chiesto all’autore che, man mano che le carte vengono scoperte durante la narrazione, esse siano messe in ordine al margine di ogni pagina del libro e alla fine vi è una intera pagina dedicata al mosaico di carte per far vedere al lettore che effettivamente vi è stato un lavoro vero dietro a tutto ciò. Gli ospiti del castello o della taverna possono essere sia personaggi fittizi, caratterizzati solo dal loro mestiere (cavaliere, dama di corte, becchino, etc…), ma in molti casi si tratta di personaggi “presi in prestito” da altre opere letterarie molto celebri, tra questi possiamo citare personaggi ariosteschi (Orlando, Astolfo), oppure personaggi shakespeariani (Lady Machbet, Amleto), o ancora personaggi del folklore europeo e non (come il dottor Faust), lo stesso narratore ad un certo punto racconta la sua storia… Tutti sono accomunati dalla mancanza della parola e da quelle 78 carte che, opportunatamente disposte, raccontano la storia di ognuno. Riguardo ai personaggi “presi in prestito” da altri autori, lo stesso Calvino, in una lunga prefazione dice: “Il riferimento letterario che mi veniva spontaneo era l’ “Orlando furioso”: anche se le miniature di Bonifacio Bembo precedevano di quasi un secolo il poema di Ludovico Ariosto, esse potevano ben rappresentare il mondo visuale nel quale la fantasia ariostesca s’era formata. Provai subito a comporre con i tarocchi viscontei sequenze ispirate all’Orlando furioso; mi fu facile costruire l’incrocio centrale di racconti del mio .” Calvino continua dicendo che, nonostante questo, il lavoro dietro “Il castello dei destini incrociati” fu molto laborioso e travagliato, egli dovette più volte buttare intere sequenze quando già erano quasi finite solo perché non combaciavano nel suo mosaico. Ma, in sostanza, cos’è “Il castello dei destini incrociati?” Che genere è? Si può considerare un romanzo? Assolutamente no, se proprio dovessimo trovare una risposta a questi quesiti, essa sarebbe che si tratta di un esperimento, un qualcosa di assolutamente originale e innovativo che solo la grande mente di Italo Calvino poteva partorire; alcuni direbbero che si tratta di una raccolta di storielle, di novelle, un po’ come “Le Cosmicomiche”, ma quest’opera va oltre, la pazza idea di subordinare la stesura delle storie a un mazzo di 78 carte è un qualcosa che solo leggendo il libro si può provare ed eventualmente apprezzare. “Eventualmente” perché, a discapito di tutte le belle parole che si sono finora dette sull’opera, si tratta comunque di un libro talmente complesso e particolare da non essere sicuramente adatto al palato di tutti i lettori, non è un romanzo dalla lettura agile e scorrevole, anzi, a tratti la narrazione può apparire lenta e noiosa, nonostante passaggi ben cesellati tra loro e i dotti riferimenti letterari di cui si è già parlato. Ma in definitiva: vale la pena leggere “Il castello dei destini incrociati”? Assolutamente sì, è un esperimento e come tale va preso, ma per chi vuole una lettura magari più impegnativa (e fidatevi che diverse volte sarà necessario tornare indietro con le pagine e ricominciare) è un’esperienza da provare, d’altronde si tratta sempre di un’opera di quella mente geniale che Italo Calvino fu.