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In questi tempi di piante mezze morte
Una storia abbastanza esile, quella di Anna: sta per separarsi, ha un bimbo piccolo, Nico, e l’età che attraversa è caratterizzata dalla crisi economica (“Quell’anno eravamo anche diventati tutti più poveri”) e dalla desertificazione.
Il romanzo si apre con una serie di eventi dolorosi (“Dopo l’incidente di Alessandro, l’aneurisma di Maria e la fine del mio amore, mio fratello Teo si è sposato e la cerimonia si è tenuta alla galleria d’arte di mia madre”), dai quali Anna emerge riorganizzando la nuova casa e, soprattutto, con l’aiuto di Maria, il terrazzo con le piante (“Erano le piante dell’inquilina precedente e le piante di mia nonna arrivate fino a me”).
Un periodo di transizione? Si tratta di far prendere coscienza al piccolo (“Gli abbiamo ripetuto che non eravamo più sposati… ma che ci saremmo sempre amati”): che le cose stanno cambiando (“Io mi sono sentita in colpa per il tempo in cui avevamo lasciato Nico nell’incertezza”), che il padre rimarrà tale (“Noi siamo diversi”), che l’amore non gli mancherà (“Ci amiamo noi ma amiamo anche altri e soprattutto tutto amano te. Tu sei amatissimo e noi ci saremo sempre”).
Tra sedute dalla psicologa (“Sul foglio di dimissioni la dottoressa aveva scritto labilità emotiva. Per alleggerire la questione, una volta casa avevo aggiunto un apostrofo. La paziente manifesta l’abilità emotiva”), un nuovo amore, nuovi assetti patrimoniali (“La Roland Ultra un tempo era stata gloriosa e molto costosa. Stampava libri d’arte, illustrati prestigiosi, enciclopedie”) e familiari (così viene presentato al piccolo Nico, il neonato fratellino di Anna: “Lui è tuo zio”), la confusione emotiva si rispecchia in uno stile concitato, con il quale l’autrice gioca componendo e scomponendo le frasi consultando un’indovina (“Sbircio e la cartomante sta guardando le mie carte…”).
Il giudizio finale lo rubiamo all’autrice: per sua stessa ammissione, “Non entri nel dettaglio, fai elenchi, vai veloce. In pratica, scrivi male”.
Bruno Elpis
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