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Dopo l'amore, la morte
L’ippocampo, un piccolo ricciolo di corteccia cerebrale sepolto nelle pieghe temporali dell’encefalo, presiede alla memoria episodica, ai ricordi dei volti e dei fatti del nostro passato. Sempre nell’ippocampo è rappresentata una mappa dello spazio che circonda, come a dire che è lo spazio a codificare i nostri ricordi. Ed è proprio quando di ritorno dalla vacanze Vanda e Aldo ritrovano la propria casa messa a soqquadro che gli argini della memoria si aprono e la loro vita sfila fotogramma dopo fotogramma a ricostruire la genesi della catastrofe, a riannodare i nodi che li hanno condotti fino alla dissoluzione. Perché a legarli non è l’amore, ma tutto il resto. La rabbia, il rimorso, l’odio, il rancore, l’ostinato masochismo con cui continuano a torturarsi. E allora le pagine si schiudono con il loro dolore, gli ingranaggi che hanno distrutto i figli, i silenzi che hanno disinnescato una minaccia costante, i ripensamenti, i dinieghi, l’ipocrisia. Starnone insegna che se non è facile mantenere una coppia, ancora più difficile è lasciarsi. Perché ci vuole coraggio a riconoscere che forse il bene è lontano dal noi, che a volte la vita impone di scegliere e che non sempre possiamo salvare sia la madre, sia il bambino. E più di tutto ci vuole coraggio a sostenere il dolore che si arreca quando si lascia qualcuno, la sua delusione, il suo sentirsi tradito, perché è da santi non dire nemmeno un vaffanculo e contemporaneamente è umano, ma stupido, rinfacciare che tutto allora è stato un inganno, che nulla è stato vero. Il mito dell’amore per sempre, la pretesa che l’altro sia la nostra metà e non una persona intera, con la sua completezza, è il grosso equivoco dell’amore moderno e alla base di quella distruzione reciproca che spesso accompagna la fine di una relazione. Certo i sentimenti sono irragionevoli e non c’è spazio per la dialettica nel dolore. Eppure in un’epoca come la nostra, in cui al tradimento può seguire l’omicidio, in cui la libertà non è libertà, il prezzo di questa diseducazione sentimentale è elevatissimo. E se il cerotto tiene insieme i genitori, sono i bambini a restare impigliati nei lacci della discordia, nella ragnatela tessuta dall’odio. Troppo vicini per non ferirsi, troppo lontani per amarsi.
Starnone prova là dove altri si sono cimentati, all’essenza di una coppia, di una relazione, nel modo più scarno e doloroso possibile. Già la Mazzantini con il suo Nessuno si salva da solo aveva fatto breccia nella resistenza inutile dei legami e prima ancora Simenon con la rete di perversa malignità che imprigiona i protagonista de Il gatto. Starnone sceglie una strada semplice e incisiva, con la storia ripercorsa prima da Vanda, poi da Aldo e ancora dalla figlia della coppia. Ognuno pronuncia le parole del suo dolore e lascia trapelare le sue ragioni, umanissime ragioni, ma ognuno di loro gira come una mosca cieca, in circolo su se stesso. E se a volte la narrazione risente di una certa piattezza, è nell’ultima parte del libro che il tono si alza e al lettore si palesano le macerie di quello che è stato. Perché la vita va avanti, ma a quale prezzo?
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Questo romanzo, finora, resta il mio preferito. Spinta dall'entusiasmo per questo autore, ho letto "Denti", praticamente una replica di "Lacci" ma in chiave ironico/umoristico/demenziale, e sto leggendo Autobiografia erotica di Aristide Gambia, di una prolissità disarmante.
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