Dettagli Recensione
L'errore nel quadro
Si dice sia un romanzo in parte autobiografico, io l'ho letto in quanto entusiasta dello Starnone trovato in "Lacci". In generale sono abbastanza soddisfatta della lettura; il giudizio medio deriva dalla presenza di alcune parti noiose e anche ripetitive, che potevano essere evitate, perché appesantiscono inutilmente quello che è "buon impianto narrativo". La voce narrante è quella di Mimí, che ora adulto (scrive dopo la morte del padre, avvenuta nel 1998) compie un viaggio a ritroso nel tempo raccontandoci la tormentata storia di sé e della propria famiglia: la madre Rusiné, il padre Fedrí, i fratelli maschi (solo un breve accenno all''ultimogenita femmina), gli amati parenti del ramo materno, pochi accenni agli zii paterni. La vicenda, arricchita di precisi riferimenti storici e culturali, è ambientata principalmente nella Napoli degli anni '40 e '50, un contesto segnato da fame, miseria, povertà, dalla necessità di arrangiarsi in qualche modo.
Il padre viene rievocato attraverso dettagliati racconti principalmente risalenti a quando Mimí abitava con la famiglia in Via Gemito, all'incirca dal 1948 (Mimí ha 5 anni) fino ai suoi 14 anni.
Tutto il romanzo ruota attorno alla figura paterna, tratteggiata dall'Autore come un uomo collerico, violento fisicamente e verbalmente, che sfiniva tutti con i suoi racconti pedanti finalizzati all'autocelebrazione ed autoesaltazione delle sue qualità, in primis di artista (pittore), costretto invece a fare il ferroviere e a soffocare il suo estro artistico per colpa, a suo dire, della famiglia disgraziata che gli era toccata in sorte.
Mimí rievoca la sua infanzia basandosi sul ricordo degli infiniti racconti ed aneddoti del padre, riportandoli in parte come li aveva vissuti da bambino ingenuo, in parte con la consapevolezza e il distacco degli anni successivi, quelli della maturità e della consapevolezza ("io ascoltavo sedotto, da ragazzino: non sapevo ancora essere perfidamente dubbioso come poi lo sono diventato negli anni"); la paura, il timore, ma anche l'ammirazione per il padre provati nell'infanzia ("a volte è allegro, inventa filastrocche sconclusionate, canta canzoni, ha un'aria da gran signore, una chiacchiera divertente.."), nel tempo si trasformano in un prendere le distanze dal padre, cosí borioso e pieno di sé che si appropria anche delle fatiche dei parti della moglie Rusiné. "Non so distinguere tra ciò che ho visto io e ciò che mi ha fatto vedere lui con le sue parole".
Il bambino Mimí vive nella speranza che il padre possa cambiare, che acquieti la sua rabbia grazie ai propri successi artistici, che di fatto non arriveranno mai.
Vengono ben descritte le dinamiche familiari generate da un uomo come Fedrí, che impatteranno inevitabilmente a livello emotivo sulla quotidianità dei suoi prossimi congiunti, in particolare sulla vita di Mimi e di sua madre Rusiné; intensi certi passaggi come quello in cui il bambino Mimí, obbligato a posare per un'enorme tela che sta dipingendo il padre ("I bevitori"), si accorge di un errore di prospettiva del genitore, e tenta di "aggiustarla" muovendosi impercettibilmente fino a raggiungere la posizione secondo lui giusta, terrorizzato alla sola idea di far presente al padre l'errore.
Emerge una figura femminile, in quel Sud del dopoguerra, "buona solo a fare figli", che deve stare in casa per non far svergognare il marito in occasioni mondane, a lui solo riservate; il medico che davanti ai primi segni di grave malessere di Rusiné, consiglia la quinta gravidanza, appunto perché "le donne si sentono bene solo quando sono incinte". Rusiné prova a ribellarsi, tentando anche per due volte di aprire un'attività di sartoria, o di mostrarsi in pubblico quale donna piacente che è; questo è inammissibile per Fedrí, nel tempo la donna si rassegna, agendo anche autolesionismo, fino ad ammalarsi e morire nel 1965.
Un'intensa parte del romanzo è dedicata alla storia di Fedrí piccolo, con una madre violenta e cresciuto dalla nonna materna.
Mimí, dopo la morte del padre, tenta di ricomporre le vicende che hanno caratterizzato la sua infanzia e si porta a Napoli, a rintracciare fatti e cose che hanno segnato il suo percorso di vita, alla ricerca di una qualche verità; ripercorre quelle stesse strade in cui aveva camminato da piccolo, va alla ricerca dei quadri del padre, finiti appesi (e dimenticati) in uffici pubblici, ma alla fine si arrende, rinunciando a cercare il quadro che ha segnato la sua infanzia ("I bevitori"), e lascia il ricordo del padre così come ce l'ha descritto negli anni di via Gemito.