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Penelope alla guerra
 
Penelope alla guerra 2018-08-08 12:35:41 GioPat
Voto medio 
 
2.3
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
2.0
GioPat Opinione inserita da GioPat    08 Agosto, 2018
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Non sei Ulisse, sei Penelope

Giovanna, detta Giò, è una sceneggiatrice italiana che viene mandata dal proprio capo a New York per trovare due soggetti da inserire in un film da produrre. Lei si ricorda di un giovane americano, Richard, che l’ha fatta innamorare dell’America per via delle storie che raccontava mentre si nascondeva in casa ai tempi della guerra. La ragazza, passati gli anni, ritiene che il soldato sia morto perché ha il ricordo indelebile di qualcuno che la informa che il più giovane di due fratelli, appunto Richard, sia caduto in battaglia a causa dei tedeschi. Giò parte per l’America piena di aspettative e convinzioni di trovare la terra dei suoi sogni, ed inizialmente è così poiché la trova come le è stata descritta da Richard. Ospitata a New York da Martine, sua amica, Giò inizia la sua avventura negli Stati Uniti decisa a trovare ciò che sta cercando in maniera felice e spensierata, fino a quando una sera non incontra un fantasma del suo passato: Richard. Il ragazzo non è morto ed è rimasto in America insieme al suo amico Bill. In Giò sorgono allora tanti sentimenti tutti insieme quali amore, paura e desiderio che la faranno avvicinare a Richard, con il quale passa molte belle serate ma altre meno per via dei silenzi inspiegabili di lui. La mente della sceneggiatrice è ormai occupata solo a pensare a Richard, mettendo in secondo piano il proprio lavoro, e non ha nessuno con cui sfogarsi, nemmeno con Martine che è tanto diversa da lei. Bill, invece, si diverte a stuzzicare Giò specialmente quando è in difficoltà ed è lui che le spiegherà i silenzi inaspettati di Richard, e tutte le certezze che Giò aveva crolleranno inesorabilmente.

Scritto nel 1962, è un romanzo che a tratti ho trovato attuale, sia nelle descrizioni degli ambienti che nell’atteggiamento dei personaggi. La trama in sé non mi è dispiaciuta: man mano che si va avanti nella storia diventa sempre più avvincente, fino ad arrivare ai capitoli finali dove viene svelata la verità circa Richard e i suoi silenzi. I primi capitoli, ahimè, scorrono lenti a causa della difficoltà nel capire gli antefatti alla storia riguardanti la guerra quando Giò aveva dodici anni. Tuttavia, quando il focus della narrazione si sposta sulla storia in atto, ossia quella che narra di Giò che migra in America, la lettura diventa più piacevole e le pagine scorrono più rapide.

Contrariamente alla trama, lo stile non l’ho ritenuto all’altezza. Nonostante la storia sia ben raccontata, viene intermezzata da lunghe descrizioni il più delle volte inutili su argomenti che esulano dalla storia e che possono indurre il lettore a smarrirsi tra le righe. I personaggi incontrati nel romanzo, a mio parere, sono privi di spessore, monotoni e ripetitivi; la scrittrice per la delineazione dei personaggi ha adottato uno stile che non ho apprezzato, ovvero quello di far ripetere ai personaggi, ad ogni battuta di un dialogo, le stesse, identiche parole. Per far capire cosa intendo riporto qui il primo dialogo del romanzo, che avviene nelle prime pagine:

"Due mesi le bastano, Giò?"
"Certo, commendatore."
"Le regalo una lunga vacanza. Se ne rende conto, Giò?"
"Certo, commendatore."
"Se dovessi regalare un viaggio a New York a tutti i miei stipendiati finirei sul lastrico: lei mi capisce."
"Certo, commendatore."
"Cosa non farei per lei, Giò"
"Grazie, commendatore."
"Intanto si diverta, si riposi."
"Grazie, commendatore."
"Sono sicuro che tornerà con una bellissima storia, Giò."
"Grazie, commendatore."

Ed ogni personaggio possiede questa pessima caratteristica che contribuisce a renderlo uguali agli altri e a spersonalizzarlo. L’ultima scelta circa i personaggi che non ho apprezzato è stata quella di far dire loro alcune parole che si usano nel dialetto fiorentino. Per quanto riguarda Giò, che è romana, sarebbe comprensibile che dica qualcosa tipico del fiorentino. Purtroppo, però, tali espressioni vengono usate dagli altri personaggi, quelli americani e dunque è impensabile che ricorrano ad un simile linguaggio.

Sinceramente non saprei se consigliare questa lettura o no, in quanto dal punto di vista della trama è passabile ma lascia molto a desiderare lo stile. Mi dispiace per Oriana Fallaci che della sua scrittura ha fatto il proprio punto di forza, tuttavia questo romanzo non mi ha appassionato molto ed a tratti è stato pesante da leggere per via della monotonia dei personaggi e delle lunghe descrizioni. Il titolo del libro è azzeccato poiché Giò rappresenta la più famosa Penelope che, anziché stare a casa ad aspettare il marito, parte come Ulisse alla ricerca della propria identità.

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