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Omaggio al Portogallo
"Oggi per me è un giorno molto strano, sto sognando ma mi pare che sia vero, e devo incontrare delle persone che esistono soltanto nel mio ricordo". Una domenica estiva di caldo soffocante. Un uomo si appisola sotto un albero ad Azeitào, nell'Alentejo. Ad un tratto si ritrova in una Lisbona semi deserta, a mezzogiorno, sul molo di Alcantara, preda di un'allucinazione, di una visione onirica, di qualcosa che lo trasporta, anima e corpo, su quel labile confine che divide la realtà dal sogno. Parte così un vagabondaggio per le magiche strade della capitale lusitana in cui l'io narrante, di cui non conosciamo il nome ma soltanto le origini Italiane ed un viscerale legame con il Portogallo (un chiaro alter ego di Tabucchi), si imbatte in una serie di strani personaggi alcuni reali, altri immaginari, alcuni piacevoli, altri importuni. Taluni viventi, talaltri defunti ma ancora vivi nel ricordo del protagonista. Fino all'appuntamento finale, quello più importante, che lo riporta al punto di partenza, il molo di Alcantara, a mezzanotte, ad attendere il fantasma del grande poeta (Pessoa?). Requiem è un romanzo atipico, che non segue un filo logico, che non ha un vero finale, che forse non ha neanche un vero protagonista se non Lisbona, città dal fascino indescrivibile, onnipresente nelle pagine di questo libro e di gran parte della produzione dell'autore. "Ma, prima di tutto, questo libro è un omaggio ad un paese che io ho adottato e che mi ha adottato a sua volta, ad una gente cui sono piaciuto e che, a sua volta, è piaciuta a me." Tabucchi scrisse il libro in portoghese, convinto che un requiem come si deve non può essere scritto nella propria lingua madre. Allora quale altra lingua poteva usare il nostro compianto maestro, se non quella che per lui rappresentava "un luogo di affetto e di riflessione"? Comunque sarà la dimestichezza con il portoghese, sarà merito della traduzione, sarà che quando uno scrittore sa scrivere scrive sempre e comunque bene, ma anche questa volta Tabucchi conquista il lettore con la sua prosa curata, con i suoi arguti dialoghi, con le sue dolci descrizioni e con quella capacità di creare sempre un'ambientazione ricca di fascino ed una certa immedesimazione da parte del lettore. Un libro intenso, piacevole, leggero, che si legge in poco tempo ma che, tuttavia, non si dimentica facilmente. "Se qualcuno osservasse che questo Requiem non è stato eseguito con la solennità che a un Requiem si deve, non potrei che essere d’accordo. La verità è tuttavia che ho preferito suonare la mia musica non con un organo, che è uno strumento proprio delle cattedrali, ma con un’armonica, che si può tenere in tasca, o con un organetto, che si può portare per strada. Come Drummond de Andrade, ho sempre amato la musica a buon mercato; e, come egli diceva: non voglio Handel come amico, e non ascolto il mattinale degli arcangeli. Mi basta quel che la strada mi ha portato, senza messaggio, e, come ci perdiamo, si è perduto".
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