Dettagli Recensione
I cafoni nel resto del mondo.
«Parliamo e non ci capiamo» disse scoraggiato. «Parliamo la stessa lingua, ma non parliamo la stessa lingua»
Piccolo e lontano dalla città, con i suoi ottomila cafoni o poco più, è sito un paesino il cui nome è noto come Fontamara. È un luogo, questo, dove la povertà e l’ignoranza regnano sovrane. I cafoni abitano in casupole rose dal tempo e dall’impossibilità di lavori idonei al ripristino delle buone condizioni e al contempo vivono dell’agricoltura e dei lavori a giornata che riescono a ricavare. Le donne, dal loro canto, sono affaccendate nella cura della casa, la crescita della prole e la dedizione al San Rocco e al buon Dio che da lassù veglia sulle loro povere anime. Presi in giro e burlati dai cittadini, isolati dal resto del mondo e dagli avvenimenti, i fontamaresi, non conoscono del fascismo, non conoscono della tessera, pensano al broglio laddove gli venga chiesto di dover firmare, perché sicuramente c’è l’inganno, c’è da pagare qualcosa. Nei loro volti e nelle loro vite non c’è traccia di speranza, di miglioramento. Il loro unico codice di legge, il loro unico sapere è quello dettato dalle consuetudini che da padre in figlio si sono trasmesse.
Accanto a questa miseria e a questa disperazione silenziosa e inconsapevole, perché i cafoni non sanno che può esserci una possibilità di riscatto, una possibilità di vincere le ingiustizie e cambiare le cose al loro favore (magari con un minimo di istruzione), vi è una realtà fatta di corruzione e inganni. Una realtà, cioè, dove i ricchi proprietari terrieri, i preti conniventi, i rappresentanti della legge, i vecchi e i nuovi rappresentanti politici, i fascisti, regnano quali sovrani indiscussi per la tutela dei propri più intimi e smisurati interessi. Sono uomini, siffatti, che non si fanno scrupoli o remore nell’approfittare dell’ignoranza altrui, dell’ignoranza di chi non ha gli strumenti materiali per rendersi conto dell’inganno e difendersi dal medesimo. Perché dunque abbandonarsi a remore dal sottrarre a codesti cafoni quel poco che ancora è rimasto loro? Perché non privarli del tratturo comunale, dell’acqua della fonte, di qualche lira dal salario a favore dell’Impresario o del nuovo avente diritto di turno?
Questo e molto altro ancora è “Fontamara” di Ignazio Silone, un’opera che oltre che ad essere caratterizzata da una trama forte, ben delineata e ancora tanto, troppo attuale, è altresì caratterizzata da uno stile narrativo ben studiato e arguto. Se decidere di dedicarvi alla lettura, constaterete infatti, che l’autore adotta, almeno in apparenza, una forma linguistica molto semplice e lineare che di fatto cela al suo interno grande ironia e acume. L’effetto di questa impostazione sarà quello di far sì che il conoscitore si immedesimi senza difficoltà nei contadini diffidando, al contempo di coloro che vivono nell’agio e che fanno del benessere la loro costante. I sotterfugi vengono percepiti dall’esterno ed è difficile restare inermi innanzi alla manipolabilità dei soggetti più deboli. Non solo, suddetta penna, riesce a far rivivere lo stato di quegli anni tanto che questo risulta tangibile con mano. Un disincanto, quindi, che dà vita ad una vera e propria fotografia dei meccanismi dell’esistenza con annessi e connessi imbrogli e egoismi umani. Badate bene però, anche quelli degli stessi cafoni sono rappresentati. Silone non si risparmia nemmeno su questi ultimi evidenziando, come, gli stessi non facciano alcunché per migliorare la propria condizione – unica oltretutto e ribadisco conosciuta – e come al contempo, innanzi alla fame, siano i primi a cedere ai biechi interessi individuali e egoistici arrivando a cercare qualcuno di ancora più misero da divorare continuando, però, a farsi sfruttare e calpestare da chi li sta usurpando dei loro diritti e della loro dignità.
Il lettore è posto innanzi ad un problema, è chiamato alla riflessione, è chiamato a interrogarsi su questa ipocrisia delle istituzioni e di un mondo in cui tutto sembra destinato all’immutabilità. E man mano che prosegue nel componimento materialmente desidera poter fare qualcosa per aiutare queste ingenue e sfavorite persone.
Una testimonianza quella contenuta in questo scritto per lo ieri ma anche per l’oggi risultando essere ancora fortemente attuale.
«”Coi padroni non si ragiona, questa è la mia regola. Tutti i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri che non ragionano (o, almeno, fingono di non ragionare). L’asino irragionevole porta 70, 90, 100 chili di peso; oltre non ne porta. L’asino irragionevole ha bisogno di una certa quantità di paglia. Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni da una vacca, o dalla capra, o dal cavallo. Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove. Lu non ti capisce (o finge di non capire). Ma il cafone invece, ragiona. Il cafone può essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso a dare la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra. Può essere persuaso che nell’altro mondo c’è l’inferno benché lui non l’abbia mai visto. Vedete le conseguenze. Guardatevi intorno e vedete le conseguenze.”
Per noi quello che Berardo diceva, non era una novità. Ma Innocenzo La Legge era atterrito.
“Un essere irragionevole non ammette il digiuno. Dice: se mangio lavoro, se non mangio non lavoro” continuò Berardo. “O meglio, neppure lo dice, perché allora ragionerebbe, ma per naturalezza così agisce. Pensa dunque un po’ se gli ottomila uomini che coltivano il Fucino, invece di essere asini ragionevoli, cioè addomesticabili, cioè convincibili, cioè esposti al timore del carabiniere, del prete, del giudice, fossero invece veri somari, completamente privi di ragione. Il principe potrebbe andare per elemosina. Tu sei venuto qui, o Innocenzo, e tra poco, nella via buia, farai ritorno al capoluogo. Che cosa può impedire a no di accopparti? Rispondi.
Innocenzo avrebbe voluto balbettare qualche cosa, ma non poté; era livido come uno straccio.
“Ce lo può impedire” continuò Berardo “il ragionamento delle possibili conseguenze dell’assassinio. Ma tu, Innocenzo, di tua mano, hai scritto su quel che cartello, che da oggi, per ordine del podestà, sono proibiti i ragionamenti. Tu hai rotto il filo al quale era legata la tua incolumità.»
Indicazioni utili
Commenti
8 risultati - visualizzati 1 - 8 |
Ordina
|
8 risultati - visualizzati 1 - 8 |