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"Metti l’amore e avrai ciò che inferno non è”
Quest’avvincente storia s’intesse tutta intorno ad un incontro tra un adolescente, Federico, liceale pieno di sogni e di ideali, che però non sa come dare loro forma, e il parroco di Brancaccio don Pino Puglisi, che per vie misteriose lo inizia alla realtà autentica della vita. Sullo sfondo vi è Palermo (“Tutto porto per chi arriva. Tutto spasimo per chi resta. Città costruita sul paradosso, città in cui si è sempre in arrivo e in attesa”), col suo fascino malioso che, secondo il “motto terribile” che compare come iscrizione nelle antiche rappresentazioni del Genio palermitano, “conca d’oro, divora i suoi e nutre gli stranieri”, circondata dal mare, nella sua ambivalenza di vita e morte, così abbagliante di bellezza da non saper allontanare il pericolo di essere sfregiata. Poi gravitano attorno tanti personaggi, volti diversi e contrastanti della città; da un lato vi sono i predatori del branco feroce della mafia: il Cacciatore, u’ Turco, Madre Natura, Nuccio, i quali si aggirano come lupi affamati di violenza, sangue e dominio del territorio. Dall’altra parte ci sono le vittime, la gente semplice che deve lottare per sopravvivere, costretta a subire le angherie di Cosa Nostra, a pagare il pizzo, a prostituirsi, come Maria, ragazza madre di Francesco, a subire violenza, come Serena, ragazza punita con lo stupro perché suo padre non ha potuto pagare il suo estorsore, di cui rimane infelicemente incinta. Vi è poi il popolo fragile e innocente dei bambini, di cui P. Pino si prende amorevolmente cura come dei figli, donando la sua vita per loro: la bambina che vaga sempre sola con la sua bambola, a cui è stato ammazzato il padre dai mafiosi; Dario, che nella notte vende il suo corpo e che per riavere le sue ali, dopo la morte del sacerdote si getterà da un palazzo; Totò, che ha l’aspirazione di diventare musicista e questo lo salva dalla deriva; Giuseppe che finisce in carcere perché obbligato dai genitori a rubare; Riccardo che, per la sua avidità di denaro, senza rendersene conto si fa strumentalizzare come spia, complice degli assassini. Su tutta questa carne dolente si china la tenerezza paterna di tale prete di strada; e in tutte queste vite getta un seme di bene che poi, chissà come e chi, vedrà fiorire: “Togli l’amore e avrai l’inferno, mi dicevi, don Pino. Metti l’amore e avrai ciò che inferno non è. L’amore è difendere la vita dalla morte. Ogni tipo di morte.” Lo stesso protagonista, Federico, proprio dal crudo impatto con la strada tramite la collaborazione con don Pino, imprime una svolta alla sua esistenza, in una direzione che non aveva mai immaginato. Egli, infatti, sarebbe dovuto andare a studiare al college ad Oxford, e invece vi rinuncia perché ha compreso che la vita vera è a pochi chilometri del suo quartiere signorile, intrisa di miseria, ma anche di tanto coraggio e dignità, quali vede splendere in Lucia, di cui s’innamora, dalla numerosa famiglia ben affiatata che affianca l’infaticabile parroco nella sua opera di rieducazione dei ragazzi, (perché “riparare è più eroico di costruire”), attraverso la creatività e la positiva energia dell’esperienza teatrale. Il giovane pagherà caro questo suo impegno a fianco di Puglisi: ne uscirà con il labbro spaccato da un ragazzino dopo aver fatto da arbitro in una partita di calcio, gli verrà rubata la bicicletta; eppure, nonostante anche le rimostranze dei genitori, non si arrende, perché ha preso atto di quanto questa missione affidatagli sia preziosa. Anche l’amore per Lucia gli costerà l’affronto del branco che per intimidirlo e allontanarlo dal suo territorio lo picchia brutalmente e lo minaccia di morte. Pur con le necessarie e dovute misure di prudenza, il sentimento così tenero e delicato dei due aprirà le vele, così come le loro vite, alla dura scuola del sacrificio e del vero amore, dietro il soffio di Dio.
E tutto questo bene così sparso a larghe mani non si disperderà, andrà ad alimentare come una faglia sotterranea le esistenze infrante di questi piccoli, anche dopo l’uccisione di don Pino ad opera della mafia: “se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore, porta molto frutto.” (Gv 12,24). La figura di questo umile sacerdote si staglia con la statura di un eroe del quotidiano, che consuma le strade con le sue suole rappezzate, da bravo figlio di un calzolaio, che condivide sudori e lacrime della povera gente, per la quale si è speso fino alla fine: l’ultimo suo pensiero poco prima di essere assassinato è stato per Maria, la mamma di Francesco, cui telefona per persuaderla a cambiare vita e a cui avrebbe destinato una buona somma di denaro elargitagli da Federico stesso. “Ha cercato di far nascere l’acqua nelle vie dell’arsura, l’albero nel cemento della città, il cielo nella strada, il paradiso nell’inferno.”
Alessandro D’Avenia con notevole talento narrativo e acutezza intellettuale, cattura l’interesse del lettore e lo conduce per mano alla mèta, che è la consegna di un messaggio prezioso, come la scoperta di un tesoro. Così, infatti, a conclusione, auspica nella postilla, in questa sorta di apostrofe: “Spero che le ore che hai dedicato a questa storia siano state riempite da quel che ho ricevuto io nello scriverla: un coraggio più grande verso la vita, anche quando pare ci ferisca a morte. E magari un posto dove scappare dentro, quando si spengono fuoco e parole. Per scoprire che erano intatti, covavano come brace sotto la cenere, insieme ai nostri desideri più grandi.”