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“Si può vincere contro il destino?”
C’era una volta nel Fucino, e forse ancora c’è, un piccolo paese contadino, uguale a tanti altri: Fontamara.
Questa però non è una fiaba, in cui la povertà è rappresentata in una fusione di armonia, solidarietà e speranza, sempre premiata da qualche buona fattucchiera. È la realtà, dolorosa e amarissima.
Le abitazioni non sono linde casupole dalle tendine ricamate, ma catapecchie annerite e sgretolate, in cui uomini e bestie respirano la stessa aria di rassegnata e grigia sofferenza. I campi non sono fruttuose terre in cui risuonano i cori dei contadini al lavoro, ma aridi lembi di terra aggrappati alla montagna, da cui strappare con fatica una manciata di grano e legumi. In quegli occhi affamati non c’è traccia di speranza, e nemmeno più di rabbia, perché le generazioni passate hanno insegnato loro che questo è l’unico destino possibile.
Ma i campi non sono tutti sassosi e le pance non sono tutte vuote. Accanto alla verità della miseria ce n’è un’altra, assai più amara e indigesta, fatta di corruzione, di inganni, di soprusi. Ricchi proprietari terrieri, preti conniventi, vecchi rappresentanti politici e nuovi fascisti. Tutti ad approfittare dell’ignoranza di chi non ha gli strumenti per capire e ancor meno per difendersi. Tutti pronti a sottrarre agli inermi cafoni quel poco rimasto loro: il tratturo comunale, l’acqua della fonte, qualche lira di salario.
Fontamara non è semplicemente un’opera convincente e interessante, è un vero e proprio capolavoro, capace di raggiungere una completezza a tuttotondo, contenutistica e stilistica. Silone sceglie di raccontare l’oppressione e lo fa parlando di gente semplice, con voce semplice. Senza allusioni, senza retorica, senza sottintesi, perché è la verità stessa a disvelarsi nella sua chiarezza. Senza calcare sui toni del dolore, perché è grazie ad uno sguardo ironico e disincantato che si possono leggere i meccanismi della realtà, riconoscendo gli imbrogli delle leggi e gli egoismi degli uomini. Anche quelli degli stessi cafoni che, di fronte alla fame, cercano solo qualcuno ancor più misero da divorare, lasciandosi invece calpestare e sfruttare da chi li sta privando dei propri diritti e della propria dignità.
La forza narrativa delle immagini e delle emozioni racchiuse in queste pagine è indiscutibile. Il lettore si ritrova a camminare per le strade di Fontamara in una sorta di comunione con i personaggi. Vorrebbe fare qualcosa per difenderli dalla loro stessa ingenuità, per smascherare l’ipocrisia delle istituzioni e punire gli sfruttatori, invece si ritrova impotente, come loro, imprigionato in un mondo in cui nulla si può fare, nulla si può cambiare. Costretto a domandarsi, oggi come ieri, “che fare?”.
Per questo Fontamara è una testimonianza che merita indubbiamente di essere ricordata e conosciuta da tutti.
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Commenti
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Alcuni libri si crede di "conoscerli", pur non avendoli mai letti. Invece poi ti sorprendono!
Grazie per avermi letto.
Un caro saluto.
Leggerò sicuramente con grande interesse il tuo commento.
Ciao,
Manuela
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