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Da "criata" a creatrice
La Mennulara è il romanzo di esordio della Agnello Hornby, best seller tradotto in tutto il mondo inizia proprio con la morte della protagonista, Maria Rosalia Inzerillo, conosciuta a Roccacolomba come la Mennulara, letteralmente raccoglitrice di mandorle. Così l'autrice ci trasporta nella Sicilia del 1963, anni di cambiamento a cui non è facile adattarsi, soprattutto nelle piccole realtà territoriali di una sicilia ancorata ad un certo tipo di "feudalesimo", di legami tra "signori" e "servi". La Mennulara è una "criata", al servizio della famiglia Alfallipe da quando tredicenne viene presa a servizio per mantenere la madre e la sorella gravemente ammalate.
“Muoio avendo vissuto una vita di cui si potrebbe esser paghi, ma non fieri."
Di lei inizialmente sappiamo poco, se non che oltre che essere la governante della casa era anche amministratrice dei beni della famiglia Alfallipe. Proprio per questo odiata dai tre figli dell'avvocato, Lilla, Carmela e Gianni, che di lei hanno sempre pensato essere un'arrampicatrice sociale, arricchitasi alle loro spalle e con chissà quali legami con la mafia. Alla sua morte si aspettano quindi un testamento con la dovuta eredità, ma ricevono una lettera con delle istruzioni relative allo svolgimento del funerale, senza altre menzioni. Da qui si dipanano varie storie, dicerie, intrecci, pettegolezzi che ci fanno conoscere spezzoni della vita della nostra protagonista muta, sappiamo di lei solo ciò che gli altri possono raccontare, e la sua vita diventa un puzzle da ricostruire pezzo dopo pezzo, racconto dopo racconto, ascoltato qua e là nei palazzi della nobiltà cittadina, nelle portinerie, nei circoli, nei negozi.
La Agnello Hornby ci offre un pezzo di quotidianità di una terra aspra che da poche possibilità di riscatto, dove chi nasce povero tale deve rimanere, nonostante l'intelligenza posseduta, dove la scala sociale non può essere ribaltata, dove i padroni restano tali, la stessa Mennulara diceva, infatti:
“Il mio dovere è di servirli, e sono capace di farcela. Non sono stata io a scegliermi dei padroni che mi sono inferiori. Padroni sempre sono, e io sono destinata a essere la loro serva.”
La figura della Mennulara viene riscattata nel corso della narrazione, essa pur avendo accettato la sua condizione di serva, ha sempre cercato di apprendere, di capire, ha usato ciò che le capitava per averne un ritorno ( come il legame con il capomafia don Ancona) che l'hanno portata ad avere un suo patrimonio che le ha permesso di vivere i suoi ultimi anni in autonomia finanziaria. Quelli che ne escono sconfitti sono proprio gli eredi Alfallipe, che interessati solo ai denari e all'eredità, screditano la serva fedele e non seguendo le istruzioni ricevute dalle sue missive, non solo non vedranno i frutti della sua eredità ma mostreranno la parte peggiore della nobiltà arricchitasi per meriti non propri, l'avidità.
Questo è il secondo libro che leggo della Hornby, e probabilmente ciò ha influenzato il mio parere su di esso, rimasta affascinata dal più coinvolgente - a mio avviso - "Il veleno dell'oleandro", questo mi ha delusa in molti aspetti. La narrazione è lenta, i personaggi sono così tanti che non si riesce a seguire il filo della narrazione e dei legami tra gli stessi e la protagonista. Il puzzle diventa difficile da ricostruire, ingarbugliato e a volte poco approfondito, nonostante l'idea di fondo e la storia diano spunti di riflessione. A posteriori mi sembra anche molto simile all'altro romanzo citato, come se si rimarcassero sempre gli stessi aspetti della nostra sicilia e delle nostre donne.