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Le case del malcontento
 
Le case del malcontento 2018-05-13 15:45:53 Renzo Montagnoli
Voto medio 
 
4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    13 Mag, 2018
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Un grande piccolo borgo

Mi corre l’obbligo di effettuare una doverosa premessa relativa all’autore, da me conosciuto una decina di anni fa in occasione della pubblicazione di un mio libro con un comune editore, Il Foglio Letterario, piccola, ma solo a dimensioni, realtà imprenditoriale; in quella circostanza, oltre a conversare piacevolmente con Naspini, ho ritratto la sensazione di trovarmi di fronte a un narratore di grandi speranze, sensazione che ha trovato poi una conferma nella lettura delle sue prime opere, vale a dire I sassi, un noir che privilegia gli approfondimenti di carattere psicologico, e L’ingrato, una storia di paese che è il pretesto per una spietata denuncia della maldicenza. Soprattutto quest’ultimo presenta caratteristiche e peculiarità proprie di un artista esperto e consumato, elementi positivi che si ritrovano in genere al culmine di una lunga carriera letteraria e non certo ai suoi inizi, a inequivocabile prova che in Naspini non c’è solo talento, ma quello stato di grazia proprio dell’artista a tutto tondo. Sono seguite poi altre opere, di cui l’ultima, Il gran diavolo, è un romanzo storico incentrato sulla figura di Giovanni dalle Bande Nere, un genere che non è peculiare del narratore toscano, ma il cui risultato è stato tuttavia ampiamente soddisfacente. Ritorna ora, in un certo senso sulle orme dell’Ingrato, questo Le case del malcontento, un’opera di per sé quasi ciclopica con le sue 464 pagine (romanzi così corposi non frequenti al giorno d’oggi), ma non gli si può certo imputare di aver voluto tirare in lungo o di essere stato dispersivo, anzi ho l’impressione che si sia frenato, perché avrebbe potuto scrivere ancora di più.
Le Case è un paese, un borgo della Maremma toscana, un insieme di abitazioni e di rocce, di cave, di strade con grandi curve, insomma una piccola realtà talmente a sé stante da considerarla quasi un enclave nell’ambito di uno stato assai più esteso; eppure, riflette, nei suoi personaggi, e pur con le tipicità di un mondo provinciale, le presenze quotidiane in cui normalmente ci imbattiamo e di cui noi stessi siamo parte. E di questo agglomerato Naspini narra una storia, o meglio racconta tante piccole storie che finiscono con il fondersi in un racconto assai più grande, un racconto corale che porta il lettore da casa in casa, dal termine della guerra alla fine del secolo scorso. Peraltro l‘impostazione strutturale è di una originalità particolare, perché l’opera inizia con la pianta del borgo e ogni casa ha il suo nome e ognuno di questi nomi, congiuntamente ad altri, è uno dei narratori, così che ogni capitolo comincia con un nome che racconta, che spazia dal passato al presente; ogni nome è protagonista, racconta di sé, ma anche di sprazzi della vita di altri, che possono benissimo essere smentiti o visti in altro modo, insomma una complessa realtà in cui tutti sono dipendenti l’uno dall’altro, e ognuno è tutto e il contrario di tutto. Ciò che in realtà Naspini narra è un mondo che sta in piedi con fragili puntelli, caratterizzato da inganni e da segreti, destinato, e non potrebbe essere altrimenti, prima o poi a implodere. Mi pare evidente che se si pensa all’attuale realtà non è difficile comprendere che è tutta la nostra Società a dare vita alle case del malcontento.
Le Case è pertanto una metafora di un realtà che non vogliamo vedere, come se a nascondere la verità la menzogna potesse diventare verità, atteggiamento che inevitabilmente prima o poi finirà con il travolgerci.
Lo stile è fresco, scorrevole, la tensione è in costante crescita, pagina dopo pagina, così da risultare il romanzo piano piano avvincente, avviluppando il lettore in una rete in cui la commistione di diversi generi, anziché risultare sgradita, affascina, convince ed è un altro dei motivi di pregio del libro. A voler cercare un difetto è un po’ difficile trovarlo, anche se c’è il rischio concreto, di perdersi, di fare confusione con tanti personaggi che quasi si spintonano per mettersi in luce, ma è un peccato da poco, quello che si potrebbe definire veniale, perché in fondo che sfugga un nome, o si confonda l’uno con un altro poco importa, perché determinante è l’immagine che viene a crearsi di una piccola e chiusa realtà, coincidente però con il mondo intero di cui essa stessa è parte. Forse gridare al capolavoro può sembrare eccessivo, ma se non è tale, e al riguardo ho più di un dubbio, Le case del malcontento è almeno di un elevato livello di eccellenza.


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L'ingrato, di Sacha Naspini
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