Dettagli Recensione
Far credere al mondo che ce la farai
Suscitano rabbia gli uomini disegnati da Sara Rattaro in Uomini che restano: incarnano lo stereotipo dell’egoista (il Sergio di Valeria), dell’eterno indeciso e irrisolto (il Lorenzo di Fosca) e hanno i loro antipodi nella perfezione paziente e disponibile del medico Ale e del ragazzo-padre Fabrizio.
In un ping pong narrativo tra Valeria e Fosca, le lacrime e i drammi di due donne abbandonate (“La vita è così crudele da sembrare disegnata apposta, così assurda da diventare ridicola”) si dispiegano tra massime prêt à porter (“Ascoltare gli altri occupa il cervello”) ed effetti speciali (“Non puoi distinguere il cielo dal mare se non ti hanno spiegato che cos’è un orizzonte”) a risolvere il quesito di fondo (“Non ci sono abituata… Agli uomini che restano”) di un sistema androcentrico ove la donna oscilla tra isterismi, debolezze e ribellioni sullo sfondo di dilemmi esistenziali (“Lo facciamo tutti in continuazione. Ammazziamo il tempo. Guardiamo film che non ci interessano, aspettiamo che il sole tramonti, navighiamo su internet alla ricerca del nulla. Poi, un giorno, ci guardiamo allo specchio, i capelli sono ingrigiti, i figli cresciuti e improvvisamente ci piacerebbe riavere indietro tutto il tempo che abbiamo buttato”).
In alcune pagine inquietanti vengono raffigurate la tragedia della malattia (“Far credere al mondo che ce la farai. Ecco che cos’è il cancro”) e le contraddizioni di una città (“Mi chiedo se gli uomini che hanno interrato i fiumi siano gli stessi che oggi… Io sono la Superba. Io sono Genova”), mentre alcune rivelazioni finali recano la conclusione apodittica: “Non esiste una sola verità, ne esistono tante versioni. Dipende da cosa sappiamo, da quello che riusciamo a vedere e da quello che abbiamo voglia di ascoltare”.
Giudizio finale: una lettura piacevole che scorre fluida tra gli stereotipi e le loro negazioni.
Bruno Elpis