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Nomen omen
Il destino di ogni individuo è certamente segnato dal luogo in cui nasce, dalla famiglia a cui appartiene, dalla cultura che ne condiziona le scelte, anche se non si può dire che questi elementi siano sempre definitivamente determinanti grazie al libero arbitrio di cui ciascuno può disporre.
“Chi è nato tondo nun po’ murì quadrato” è un detto che ricorre spesso nel romanzo di Fortunato Cerlino, “ Se vuoi vivere felice”. È lo stesso personaggio di Fotunato a spiegarne il significato: “ La prima volta che ho sentito questa frase me l’ha detta Tonino Naso ‘e cane. Significa che nessuno, per quanto lo desideri, potrà mai sfuggire alle sue origini, che sono anche il suo destino.” E le origini di Fortunato sono nella periferia più povera di Napoli, dove l’assenza delle istituzioni e la mancanza di lavoro costituiscono un terreno fertile per il radicamento della delinquenza più feroce. Generazioni di ragazzi trascorrono la maggior parte della giornata sulla strada, acquisendo dimestichezza con la prepotenza e la prevaricazione, per conquistarsi il rispetto dei coetanei. Si formano così O’ Lión , O’ Bulldog e Naso ‘e cane. Qui l’amore si impone non si conquista, l’odio e il rancore sostituiscono la solidarietà . Pur appartenendo ad una famiglia povera ma onesta, la frustrazione quotidiana del piccolo Fortunato lo induce a compiere piccoli furti nel grande Euromercato che appare a tutti come una sorta di Leviatano, con la sua mostruosa quantità di merci che offre al pubblico, sollecitando al consumismo. La consapevolezza di non essere in grado di affrontare e soddisfare i desideri indotti dal mondo circostante, genera rabbia e rancori nell’ambito familiare e fuori di esso. Fortunato che pure ha toccato il fondo nel momento in cui ha sottratto i soldi nascosti dalla mamma per il battesimo dell’ultimo nato, ha sempre coltivato un sogno, ha sempre sperato di diventare un celebre cantante, o un attore o uno “strologo”. Ed è il sogno che salva Fortunato, è il presagio contenuto nel suo nome che si fa realtà, quasi a dimostrazione che il miracolo, a cui spesso si allude nel corso del romanzo, può effettivamente verificarsi. Si, perché negli ambienti più poveri e degradati dove la speranza di una vita migliore si affievolisce con il passare dei giorni, ci si rifugia spesso nella superstizione.
Con una malinconica nostalgia del passato, quarantacinquenne, Fortunato ritorna a visitare Pianura, quella periferia abbandonata al degrado, per ritrovare se stesso, per dialogare col bambino che era stato, con l’ansia e il timore di non ritrovarlo più perché il tempo e il successo hanno cambiato tante, troppe cose. Ma il bambino Fortunato è sempre lì, in attesa di ricongiungersi con l'adulto in una prospettiva di serenità. È l’ora di lasciare svanire i rancori, di dare spazio a vite future, alla speranza e all’amore. È questo il messaggio del Fortunato/Savastano, è questa l’altra faccia di Gomorra.
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