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IL METAROMANZO DI CALVINO
Ricordo che un giorno di tanti anni fa mi recai presso la biblioteca comunale della mia città per chiedere in prestito una copia del “Fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello. Quando, dopo le consuete formalità burocratiche e una paziente attesa la ricevetti e, giunto a casa, mi accinsi alla lettura, ebbi la sgradita sorpresa di scoprire che il volume era privo dell’intera prima parte. Ciononostante lo lessi, ma mi rimase per lungo tempo la curiosità di conoscere come la bizzarra vicenda di Mattia Pascal era incominciata. Mi occorse cioè l’esperienza esattamente opposta a quella del Lettore protagonista di “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. O forse sarebbe meglio dire che, siccome l’anonimo Lettore simboleggia tutti i lettori, me compreso, di questo come di ogni altro libro esistente al mondo, mi sono trovato a rivivere una seconda volta, nelle sue peripezie e nel suo ogni volta rinnovantesi senso di frustrazione, quella mia esperienza originaria. Infatti “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è un libro per così dire di secondo grado (il romanzo parla di un Lettore che cerca di leggere proprio questo romanzo di Calvino, e i dieci racconti che si dipanano, tutti quanti inopinatamente interrotti dopo poche pagine, sono al tempo stesso – se così si può dire – il soggetto e l’oggetto della narrazione, il motore attivo della trama e la sua rappresentazione, il contenuto e il contenente), il quale libro, mentre cerca (o meglio fa finta) di raccontare una o più vicende, riflette in realtà sulla letteratura nel suo farsi: innanzitutto evidenziando il bisogno che ogni lettore ha di una storia, di una trama, di un finale (infatti, proprio negandoglieli, sia pure attraverso il trucco del differimento, della procrastinazione, Calvino ne sancisce l’importanza e l’insostituibilità); in secondo luogo esibendo consapevolmente tutti i meccanismi del processo creativo e della finzione letteraria (mentre stiamo leggendo quelli che sono i pensieri e le azioni dei personaggi di invenzione siamo sempre coscienti della presenza invisibile e demiurgica di un Autore e di un Lettore). Calvino gioca con le regole che stanno a monte e a valle della narrazione: dapprima – come si è visto – immagina il Lettore che si reca in libreria ad acquistare proprio il libro che stiamo leggendo; successivamente, grazie all’entrata in scena di una Lettrice, si sofferma sul ruolo e la funzione dei libri all’interno dell’esistenza quotidiana, sul rispecchiamento tra letteratura e personalità, e via via, grazie alle visite all’università e alla casa editrice, su tutti i vari aspetti (critici, produttivi, linguistici, distributivi…) della scrittura, fino a configurare “Se una notte d’inverno un viaggiatore” come un meta-romanzo, straniante e perennemente in fieri, caratterizzato da un continuo e avvincente gioco di specchi. Ad esempio, è interessante esaminare le pagine sulla reciprocità tra scrittura e lettura, con l’immagine del romanziere che spia col cannocchiale una donna intenta a leggere, e si convince che ciò che sta leggendo è proprio il libro che in quel momento egli sta scrivendo, o addirittura il libro, l’unico vero libro, che egli non riuscirà mai a scrivere. “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è zeppo di riflessioni di questo genere, che lo rendono un romanzo caleidoscopicamente geniale.
Con l’ingresso di personaggi come Lotaria ed Ermes Marana subentra nel romanzo un sottile, ma non per questo meno evidente, intento satirico. Calvino ne approfitta per ironizzare sulla spregiudicatezza di certi ambienti letterari e soprattutto sull’ottusità di certa critica, che pretenderebbe di analizzare il valore delle opere usando come metro di riferimento non già elementi poetici bensì criteri quantitativi, come ad esempio la minore o maggiore frequenza nel testo di alcuni vocaboli chiave, riducendo la letteratura ad una dimensione omogeneizzata e anodina, riproducibile magari da un qualsiasi elaboratore elettronico debitamente programmato. Qui emerge l’eclettismo e la inesauribile fantasia di Calvino, che approfitta di ogni occasione (ad esempio le lettere che Marana invia da ogni parte del mondo alla sua casa editrice) per moltiplicare all’infinito gli spunti e i pretesti narrativi, in una sorte di versione aggiornata de “Le mille e una notte”, anche se certi cedimenti caricaturali non sono certo tra le cose migliori del libro.
Resta da dire dei dieci racconti, o meglio dei dieci inizi di romanzo. Calvino, fin dai suoi esordi, è stato prima di ogni altra cosa uno scrittore di novelle, e anche con “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è rimasto fedele alla sua vocazione originaria, scrivendo quello che tutt’al più può essere considerato un “finto” romanzo, nell’accezione che si è vista più sopra. In questi abbozzi di storie, comunque, Calvino dà sfoggio del meglio della sua arte, con il suo inconfondibile virtuosismo tecnico, fatto di periodi lunghi, complessi e psicologicamente elaborati, i quali conducono sempre a dei veri e propri corto circuiti del senso, a un disorientamento che, come nella migliore novellistica europea del Novecento, esprime benissimo la mutata percezione che l’individuo ha di sé stesso e della realtà che lo circonda. E tutto questo Calvino riesce a farlo in maniera mai uguale a sé stessa, ma saltando da un genere letterario all’altro, dal thriller al romanzo classico, dal romanzo psicologico a quello avventuroso-filosofico, dalla letteratura russa alla Pasternak a quella sudamericana alla Borges. E’ proprio Borges, prima di altri grandi short writers come Kafka e Buzzati, il vero nume tutelare di questo libro: nel settimo, nell’ottavo e nel nono episodio, il continuo riferimento agli specchi, alle combinazioni moltiplicatorie degli eventi, alla parcellizzazione microscopica delle percezioni, alla figura del doppio e al ripetersi ineluttabile del passato, ricordano diversi racconti del maestro argentino, come ad esempio “La morte e la bussola”, “Funes, o della memoria” o “Biografia di Tadeo Isidoro Cruz”.
Indicazioni utili
"La zia Julia e lo scribacchino" di Mario Vargas Llosa
"Finzioni" di Jorge Luis Borges
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