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La clinica degli orrori
Francesco Recami, dopo esseri reso fautore delle avventure della “casa di ringhiera”, torna in libreria con La clinica Riposo e Pace: un libro che ha suscitato in me molte perplessità. Tratta il tema, attualissimo, delle condizioni degli anziani nella nostra società, quali sono le loro patologie, le cure, l’assistenza che ricevono nelle case di riposo. Ma lo fa con un tono ironico, che sconfina nel cinismo più assoluto. Che non ha incontrato la mia approvazione. Un libro sicuramente veritiero, ben documentato, ma trattata l’argomento con poco rispetto. La condizione dell’anziano viene per tutto il testo ridicolizzata e alleggerita con un tono scanzonatorio, che rivela un sentimento di scarsa comprensione e di scarso riguardo.
Il libro è ambientato interamente all’interno della Clinica Riposo e Pace, che:
“era una elegante casa di riposo per anziani non autosufficienti sulle colline preappenniniche, in mezzo a cipressi e olivi. Situata in località Il Borghetto (questo è un nome di comodo, per vari motivi in seguito si capirà che per il momento il nome va tenuto segreto), consisteva di tre corpi principali: la villa seicentesca finemente ristrutturata, le ex stalle e scuderie, a poche decine di metri, e la ex fattoria, adesso adibita a residenza per i casi più complicati, attrezzata come una vera e propria clinica. In particolare c’era una sezione dedicata ai malati terminali e a degenze di persone anziane in gravi condizioni di degenerazione fisica e mentale. (…) La giornata era tersa e profumata, i rosai nel giardino all’italiana sul retro della villa emanavano fragranze meravigliose…”.
In questo luogo viene portato con l’inganno Alfio Pallini, dalla nipote e dal marito, perché:
“era evidente che (…) nel caso del signor Alfio si trattava di una sindrome degenerativa su base circolatoria, demenza senile in stadio avanzato, con comportamenti deliranti e violenti.”.
Ma lui non è malato al punto da non accorgersi che qualcosa non quadra. Gli anziani, compreso lui, vengono legati al letto, sedati in continuazione, e ammansiti quando non derisi, soprattutto quando li lavano. Inoltre si accorge immediatamente che da quando è lì il letto accanto al suo viene cambiato di occupante in subitaneo. I pazienti arrivano, e il giorno dopo vengono portati via coperti da un lenzuolo bianco. E i parenti che si affrettano a raccogliere le poche cose del malcapitato, che vengono salutati dal Professore, che oltre a porger loro le condoglianze, sollecita con fare mellifluo, l’agenzia funebre migliore. Per non parlare poi di quegli strani gatti e gattini a cui vengono somministrati strani farmaci. Per non parlare del personale infermieristico, tronfio e maleducato, un vero incubo.
Il libro racconta il conflitto generazionale tra malati anziani e la propria famiglia, il rapporto teso con le istituzioni sanitarie, a dir poco deprecabili. Una parodia feroce che:
“mette alla berlina la medicalizzazione del disagio quotidiano, l’ipocrita rivalutazione dei valori dell’essere anziani, la buona morte, i falsi affetti familiari, è uno dei momenti di un progetto narrativo più vasto.” .
Una lettura amara, poco piacevole, dove l’ironia non suscita che ribrezzo. Il racconto di una commedia umana, bieca e cinica, che si tinge di nero per il sarcasmo, il grottesco, che la percorre. Una serie cattiva che non convince neppure nei suoi contenuti principali. Meglio tornare alla casa di ringhiera.