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Le cose che salvano nella vita hanno dentro il sal
Pietro è un ragazzino di undici anni, vive a Milano ma la sua famiglia è originaria di una piccola cittadina della Lucania, Arigliana.
Catozzella ci fa conoscere la storia di Pietro narrandola direttamente in prima persona e il racconto sembra proprio scaturire dalle labbra di questo bambinetto: un po' teppistello, un po' tenero, come di solito sono i ragazzini di quell'età.
Fin da subito ci rendiamo conto che Pietro sta attraversando un grande dolore, una ferita profondissima lacera la sua giovane anima: la mamma è morta da poco. Pietro e la sorellina, Nina, devono affrontare la situazione. Abbiamo la percezione che siano molto soli, abbandonati a loro stessi: il padre, rimasto anche disoccupato, li spedisce dai nonni, ad Arigliana, a trascorrere l'estate.
Pietro si ritrova nel paesino della Basilicata dove sono nati i suoi genitori e i suoi nonni, che sembra rimasto sospeso nel tempo e che la modernità non ha ancora toccato completamente. Non a caso il libro preferito del nonno e del padre di Pietro è “Cristo si è fermato a Eboli”. Il bambino stenta a trovare la sua identità, non è considerato come un membro della comunità a tutti gli effetti, viene visto come un settentrionale, un milanese, mentre a Milano erano “una famiglia di invasori in una terra piena di ricchezze e di cose belle”.
Così trascorrono le prime settimane di quell'estate che sembra lunghissima per la quantità e l'importanza degli eventi che la segneranno. In primo luogo c'è la sofferenza di Pietro per la perdita della madre: una sofferenza di cui lui ci parla con apparente leggerezza.
“ Poi, dopo che nostra madre- che si chiama Rosalba, ma tutti chiamano Rosi- è andata avanti nella strada della vita per aspettarci in un posto ancora più bello dove tutti sono felici, e non abita più da noi, un po' è cambiato tutto.”
Pietro le parla ugualmente, sente la voce della mamma che lo guida e lo consiglia e il dolore fortissimo che lo assale in alcuni momenti assume le sembianze di un cane che lo morde e gli lacera la carne; Pietro riesce a vederlo e gli dà anche un nome: Canetto.
Nel paesino di Arigliana avviene poi un fatto inaspettato: vengono trovati a vivere dentro la torre normanna degli stranieri, fra cui anche un ragazzino più o meno dell'età di Pietro, Josh. Attraverso la voce del protagonista sono descritte la paura, il disprezzo, il rifiuto iniziale provati dalla piccola comunità nei confronti dei nuovi arrivati. In seguito una parte della popolazione inizia a conoscere e rispettare gli stranieri, mentre l'altra parte continua a considerarli dei nemici, li incolpa per il peggioramento delle condizioni di lavoro, li rende facili bersagli per mascherare invece lo sfruttamento, la corruzione, la povertà, che già erano presenti all'interno della società di Arigliana.
“ Poi si è girato verso il quadretto appeso in cucina, e mi ha chiesto di leggere quello che c'era scritto. Io non avevo voglia, ma nonno ha insistito. Così ho letto.
«Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né la speranza, né la ragione, né la storia,» ho detto.”
Il libro comunque ci lascia un messaggio di speranza: “E tu splendi.” E' il testamento spirituale che la mamma consegna al figlio: “Ti insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.”
Si tratta, come spiega lo stesso Catozzella nella “Nota dell'autore”, della trascrizione sbagliata di uno stralcio dalle “Lettere luterane” di Pier Paolo Pasolini.
Nonostante il dolore, l'ingiustizia, l'integrazione difficile o impossibile, la solitudine, sembra voler dire l'autore, attraverso il ragazzino Pietro: non perdiamo la voglia di vivere e di splendere. Le cose che salvano nella vita sono salate: le lacrime, il sudore, il mare.
Una lettura che sicuramente non lascia indifferenti: dalla tenerezza e momenti di vera e propria commozione che si provano nei confronti del protagonista rimasto orfano, alle riflessioni che ci spinge a fare il racconto della mancata integrazione fra gli stranieri e gli abitanti di Arigliana, fino alla rabbia per l'accettazione passiva di corruzione e ingiustizie commessi dai soliti prepotenti locali. Il tutto narrato nel linguaggio semplice di un ragazzino che sbaglia tutti i congiuntivi e spesso ci fa sorridere per le sue osservazioni un po' sconclusionate. Un romanzo apparentemente leggero ma in realtà complesso, da assaporare con calma e razionalità.