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Tutto ebbe inizio con i telai
Corre l’anno 1930 quando un pomeriggio di un freddo gennaio scendono alla stazione di Bellano sei uomini, vestiti poveramente e con la barba lunga, lì convocati per montare una linea di telai elettrici del cotonificio. E’ un periodo di crisi e la proprietà, per contenere i costi, non trova di meglio che procedere a una parziale automazione che però comporterà il licenziamento di una ottantina di dipendenti. Da quell’arrivo di un campionario umano tipico del sottoproletariato di cui fa parte anche un giovante prestante dal nome famigerato di Landru Angelici, non certamente un assassino, ma nemmeno uno stinco di santo, nasce un’intricata vicenda in cui Vitali si butta a capofitto, muovendo pedine e incastri, tutti direttamente o indirettamente collegati al cotonificio. Il direttore dello stabilimento, il competente e umano ing. Galimberti, la sua impeccabile e desiderabile segretaria Emilia Personnini, il capostazione e confidente dei carabinieri Amedeo Musante, la bella e astuta Mirandola Gilardoni, il segretario del locale fascio Aurelio Pasta, tanto intraprendente quanto facile agli smacchi, Eumeo Pennati, fascista con non nascoste mire di prendere il posto di Pasta, il buon parroco Don Ascani – tanto per citare i personaggi almeno più importanti del romanzo, ma ne ve sono molti altri in veste di comprimari – si agitano, in verità ben diretti da quell’abile burattinaio che è Andrea Vitali e che sembra divertirsi nel proporre continuamente nuovi inserimenti, nuove vicende nell’ambito di quella originaria della famosa installazione dei telai che non avverrà mai e non vado oltre. Spasimi d’amore, più o meno ricambiati, screzi, vecchie rivalità, piccinerie di una piccola realtà come Bellano, ma che assumono generali caratteristiche di un popolo che da sempre sembra vivere alla giornata sono il companatico di questo racconto, che presenta talmente tanti spunti che un altro autore, invece di scrivere un solo romanzo, probabilmente ne avrebbe stilati almeno due. E del resto sono 370 pagine, non certo poche, ma che si leggono, se non proprio d’un fiato, comunque alla svelta, soprattutto per la curiosità di sapere come verrà sbrogliato il nodo di tanti gomitoli. E’ ovvio che tutto finirà per aggiustarsi, anche per il contributo, del tutto involontario, di Landru. Il romanzo si chiude il giorno dopo dell’avvenuta liberazione, in cui già i fascisti si sono abilmente riciclati con un veloce cambio di camicia, da nera a rossa, facendo così venire in mente l’insegnamento del Gattopardo, e cioè che da noi tutto cambia per ritornare poi sempre uguale.
Da leggere, anche per trascorrere gradevolmente alcune ore.