Dettagli Recensione
questo romanzo...e il suo Senso
“Niente succede a caso, di questo ne sono certo”: ecco, questa gioiosa e, nel contempo, pudica affermazione dello scrittore potrebbe senz’altro essere la sintesi perfetta del bel libro – tenero, assai tenero e delicato – di Christian Bergi, “Sotto lo stesso cielo”.
E si, è davvero sempre lo stesso – pur nelle sue molteplici manifestazioni esteriori – il cielo che copre le nostre lacrime, un cielo azzurro e bello e splendido anche quando è bigio come a Londra, a Torino o a Parigi. Le nuvole, infatti, non possono – ne tantomeno lo potranno mai – oscurare il cielo, canta con la sua consueta liturgica modestia Franco Battiato, per il quale non esistono aggettivi per tributargli i dovuti meriti. È davvero una notizia grande apprendere, godendoselo tutto d’un fiato, che a soli 24 anni qualcuno, qualche anima, possa donarci un romance (o un novel?) tanto bello e commovente; oggi, si sa, in un mondo diventato ogni giorno più canaglia (ci perdonino i cani), una lacrimuccia nei mass media non ce la risparmia nessuno. Ma quelle sono lacrime facili, costruite e orchestrate a tavolino per accattivare il consenso, questa commozione, nel senso di “muovere l’anima in generale, tutti insieme” (com-muovere), che, al contrario, ci scioglie dentro e ci fa tanto bene nella sapiente narrazione di Bergi, si sente che nasce da dentro. Non la puoi fingere.
Sono infatti “lachrymare rerum” le lacrime delle cose stesse, “le cose che pensano”, di luciobattistiana – paralleliana memoria.
Ne deve aver lette e amate tanto di paroles nei suoi precoci anni Bergi per arrivare a donarci un libro “circolare”, tanto intenso, anche se alla fine è la vita che è un cerchio – e Christian ne ha saputo cogliere il nesso proprio con grande acutezza, e magari tutta questa storia – è la vita cioè – “un senso non ce l’ha”, per dirla con Vasco Rossi, un altro grande che ti commuove, sommuove, smuove dentro mentre ti dà una indispensabile sferzata di energia.
Evviva, se ancora in Italia si riesce a scrivere in modo bello e pulito di cose belle – anche quando sono aspre -, perché l’arte in fondo che cos’è se non un modo di trarre dalla apparentemente non scalfibile durezza del marmo(la densa materia del vivere) la stupenda forma, l’essenza pre-esistente che vi stava custodita all’interno: è la scrittura.
Questo mettere un segno dopo l’altro, che ci distingue dai nostri cari amici animali e a loro, nel medesimo tempo, ci accomuna: quindi nessun orgoglio, no, ma tanta consapevolezza che siamo tutti la stessa, unita, grande cosa: il palpito dell’Uno.
E che Christian già ne dimostri in un’opera prima – già bella fluida – una così profonda e intensa consapevolezza, bè ci fa davvero credere che la gente è, in generale, nel suo amare, vivere, soffrire, macerarsi, infamarsi ed infrangersi, infine ri-conoscersi, miriadi di volte migliore dei suoi governanti.
Dice alla fine del suo luminoso racconto – di 300 pagine!!!- la dolce Ilaria “Ero partita con un obiettivo, che non ho centrato, ma sono ugualmente piena. Ho conosciuto persone stupende…”. Ecco, è tutto qui. Vivere, amare, ri-conoscersi per la seconda e definitiva volta: eravamo uno e Uno ritorniamo ad essere.
Stavolta però con consapevolezza.
Bravo, Christian Bergi, per questo luminoso romanzo – che presenta anche dei begli echi della pavesiana La bella Estate – e sii certo che ne aspettiamo altri, ancora più luminosi e tirati a lucido. C’è il mare nella tua narrazione: ci vorrebbe sempre il mare, che ci fa capire tanta cose, anche se, talora, questo mare “Un senso non ce l’ha”. Grazie davvero.
Ci sei riuscito a farci credere che Noi / gli altri, sempre lo stesso identico Uno, siamo Sotto lo stesso cielo.