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Un ragazzo normale
 
Un ragazzo normale 2018-03-21 10:01:44 Mian88
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    21 Marzo, 2018
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Mimì

«Ma io non l’avevo ascoltata e avevo proseguito ad accumulare libri e parole, e alla fine dell’adolescenza sotto il letto avevo più di cinquanta romanzi. Quei libri sono stati il mio primo mattone, la struttura sulla quale ho poggiato la costruzione della mia vita, la mia pietra angolare. È merito di quei cinquanta volumi se sono diventato ciò che sono, merito di quelle sere passate con gli occhi infilati nelle pagine.»

É il 1985, Domenico detto Mimì, ha dodici anni, un linguaggio forbito, la passione per i romanzi classici, per le scienze, gli eroi e la telepatia. Sogna di poter diventare uno scienziato o ancora astronauta o ancora ricercatore in ambito medico così da poter curare le persone e lasciare un segno di sé nel mondo. Figlio del portiere dello stabile e di una segretaria presso uno studio legale nonché fratello minore di Beatrice detta Bea di sei anni più grande, il ragazzo fatica a farsi degli amici perché tutti lo considerano “strano”. Strano per queste sue passioni, per questo suo ricercato linguaggio aulico, per questa sua voglia inarrestabile di scoprire, di conoscere, di imparare. Perché Mimì non si accontenta delle prime impressioni, vuol approfondire, capire, assimilare. A lui tutte quelle passioni che attirano i suoi vecchi non interessano. Non gli interessa del calcio, non gli interessano i varietà e ancora non ha ben chiaro cosa sia quella cosa chiamata Camorra che tanto spaventa al solo pronunciare del suo nome.
Per queste ragioni la vita delle persone che ha accanto non può bastargli. Il padre che da sempre si accontenta della propria esistenza senza mai cercare di cambiarla, la nonna che non consoce null’altro oltre le preghiere, il nonno appassionato di politica e in lutto per la morte di Berlinguer, la sorella e la madre che si accontentano dei varietà ed anche il neo ritrovato amico Sasà che è arrabbiato col mondo per la malattia tumorale della madre e la sempre più prossima dipartita e il suo voler dimostrare di essere “chiu gruoss”, non possono coincidere con la sua natura curiosa, amante dei documentari e delle parole scritte. Ecco perché la sua ricerca di un eroe è una costante.
E Mimì quell’eroe lo trova davvero: si chiama Giancarlo Siani, è un giornalista del Mattino, guida una Mehari (con il tetto decapottabile verde che ogni notte offre asilo e ristoro a Bagheera un gatto randagio del medesimo colore del protagonista de “Il libro della giungla”) e nei suoi articoli racconta di criminalità. Perché scrivere «ti permette di raccontare alla gente, di far conoscere i fatti. Le persone, per scegliere, devono sapere. E un giornalista “giornalista” questo dovrebbe fare: scrivere, raccontare, informare, scatenare l’inferno».
Un desiderio e una passione, questa, che gli causerà la morte. Il 23 settembre 1985, a pochi giorni di distanza dal suo ventiseiesimo compleanno – occorso in data 19 settembre – verrà ucciso proprio sotto il condominio in cui viveva al ritorno dal lavoro in redazione. Verrà crivellato da quella stessa mafia che tanto ha combattuto. In sua memoria, ancora oggi, un murales sito sul muro di quella strada di casa.
Un viaggio, quello di Lorenzo Marone, in cui assistiamo alla crescita di Mimì, al suo cambiamento, alla fine della sua infanzia. Perché Domenico all’inizio del romanzo è un sognatore che cerca un idolo, un eroe da seguire che giunge, alla fine dell’opera, a comprendere di non essere altro che “un ragazzo normale” come Giancarlo stesso. L’autore, non si ferma qui. Non solo ci ricorda quanto i sogni sono importanti, non solo ci ricorda quanto la vita possa cambiare con piccole cose e imprevisti inaspettati, non solo ci ricorda quanto i legami affettivi sono fondamentali, non solo ci invita a far tesoro della propria cultura ma ci invita anche a custodire nel cuore le nostre speranze e a far tesoro delle nostre delusioni perché questo è parte della crescita. Il tutto attraverso un alternarsi tra presente e passato dove l’ormai adulto protagonista rivisitando l’appartamento al settimo piano del palazzo dove allora viveva e dove si recava con il padre e gli amici, ricorda e fa tornare alla luce, le memorie di quell’anno che gli ha cambiato la vita. Mimì non è il classico protagonista a cui l’autore è affezionato perché è poco più di un bambino, eppure non esita a farsi amare a diventare un tutt’uno con chi legge. Personalmente mi sono rivista in questo giovane considerato “strano” per il suo linguaggio aulico e la sua passione per i libri, forse perché, un tempo io stessa ero così considerata per il mio tenere sempre e inesorabilmente il naso tra le parole scritte e la mente tra quei mondi creati. Ci sono ancora, in questo ultimo scritto, passaggi – al contempo – di una grande delicatezza, forza e durezza. Uno dei tanti che possiamo citare è quello in cui il nostro eroe viene posto di fronte alla prima grande separazione della sua vita: quella dal nonno. E la consapevolezza, successiva, che la vita è un ciclo e che toccherà a tutti i nostri cari, che toccherà a tutti noi.
Il narratore, inoltre, ci dona un elaborato che non è una memoria di Giancarlo, ma è un romanzo scritto con Giancarlo. E questa immagine lasciata sullo sfondo, quasi a far da cornice anche se cornice non è, invita alla riflessione, accompagna i fatti, arriva con verità sincera.

«Perché alla fine di quella terribile e magnifica estate capii che gli unici superpoteri a disposizione di noi poveri umani sono i rapporti che riusciamo a costruirci, gli amori, le amicizie, gli affetti. Sono la qualità di queste relazioni a fare la differenza fra chi è super e chi, forse, lo è un po’ meno. Perché quella maledetta sera capii di essere solo un adolescente che si era trovato, per una serie di circostanze, ad avere a chef fare con qualcosa di più grande di lui. Capii di essere un ragazzo normale. Come lo era Giancarlo, un ragazzo normale.» p. 278

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