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La vita finora
 
La vita finora 2018-03-18 16:53:19 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    18 Marzo, 2018
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La casa del serpente

Marco Laurenti è un professore delle medie alle prime armi: è ancora precario, ha circa 35 anni e vive a Milano. Un amico gli fa sapere che in un paesello di montagna a circa 100 chilometri dal capoluogo lombardo assumono un insegnante di lettere in una scuola privata e lo pagano il doppio rispetto al consueto stipendio di professore. Marco pensa subito di accettare, anche se si chiede perché il suo amico non abbia voluto approfittare personalmente dell'occasione invece di accordargli un simile favore. Si accorgerà a sue spese di trovarsi, più che in una scuola, in un vero e proprio Antro del Male: una sola classe formata da sei o sette ripetenti, perfidi e cattivissimi, pronti non solo a non studiare, ma a commettere crimini violenti, a drogarsi, a bullizzare i più deboli attraverso facebook.
Devo ammettere che la lettura di questo romanzo non mi ha entusiasmata come pensavo e non mi ha convinta molto. Personalmente conosco bene l'ambiente della scuola media e sinceramente in questo scritto non vi ho trovato assolutamente niente di tale ambiente. Lungi da me negare che esistano problematiche molto serie di cyberbullismo largamente diffuse nelle nostre scuole, gruppi classe problematici, alunni difficili, genitori compiacenti con i figli: ma il modo in cui Montanari ha affrontato l'argomento l'ho trovato a dir poco banale e un po' superficiale. Per non parlare di come viene presentata la figura dell'insegnante: assolutamente non credibile, pura fiction. Mi è venuto in mente un altro romanzo, letto tempo fa, “La classe dei misteri” di Joanne Harris, che pur partendo da un'idea simile -l'alunno cattivo e criminale, il professore che si trova in mezzo ad una situazione surreale tipica da libro giallo- presentava un protagonista insegnante ed un ambiente scolastico molto più credibile (eppure questo libro è ambientato in Inghilterra). Un insegnante per prima cosa si prende cura dei suoi alunni, di tutti, può avere a che fare con persone particolarmente problematiche o anche con cattivi e criminali (questi ultimi sono però, per la legge della statistica, una piccola o piccolissima percentuale, come ricordava anche Daniel Pennac nel “Diario di scuola” -un altro, come la Harris, ad aver realmente praticato la professione di insegnante) e sicuramente non si mette a picchiarli ed insultarli in classe.
Quindi, ricapitolando, ho trovato il romanzo oltremodo inverosimile; in fondo è un romanzo, si può obiettare. Infatti. La lettura scorre abbastanza veloce e piacevole ( a parte il piccolo orrore provato per una citazione palesemente sbagliata ): vengono presentati fatti violenti e aberranti che si svolgono in un piccolissimo paesino di montagna, chiuso, ostile e soffocante. Sangue, sesso e droga per sfuggire alla noia e al vuoto esistenziale. Mi ha un po' ricordato “Ti prendo e ti porto via” di Ammaniti, anche se, secondo il mio modesto parere, Montanari è più sbrigativo e manicheo nel tratteggiare la psicologia dei personaggi.
Nel complesso quindi una lettura abbastanza cupa ma allo stesso tempo scorrevole e coinvolgente, forse si potevano affrontare certe tematiche in modo meno teatrale e più profondo, anche se è vero che non trattandosi di un saggio né di un resoconto di vita reale, alla fine può andare bene anche così.

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29 Marzo, 2018
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Gentile Chiara, la ringrazio molto per il voto che dà al romanzo e per il fatto che ne consiglia la lettura, visto che per la verità la recensione è una vera e propria stroncatura, la prima che questo libro ha avuto.
Sostengo da molti anni che se non ci piace la voce di un autore, il suo sound se vogliamo chiamarlo così, non c'è nulla da fare. Tutti gli argomenti che possiamo portare per spiegare "perché" questa voce non ci piace tendono a essere razionalizzazioni a posteriori. È vero che proprio a scuola - visto che siamo in tema - ci insegnano che non bisogna limitarsi a dire "Mi piace" o "Non mi piace", ma motivare il nostro giudizio; io però ho l'impressione che in certi casi sarebbe più semplice e onesto dire, appunto, "Mi piace" o "Non mi piace".
Se lei ha avuto esperienze di insegnamento diverse dalle mie e da quelle dei numerosi insegnanti delle medie che hanno fatto da consulenti per il libro, non posso che rallegrarmene: le cose che ho raccontato non solo sono tutte accadute ma stanno molto al di sotto della realtà nei suoi aspetti estremi, e ne può trovare prova nell'episodio aberrante accaduto i giorni scorsi ad Alessandria, dove un gruppo di alunni ha legato a una sedia un'insegnante con disabilità motoria e l'ha tormentata colpendo la sedia a calci.
Eppure, vede, sono pronto ad ammettere che la sua perplessità sulla verosimiglianza delle situazioni descritte e della figura del professore sia comunque giustificata: perché, come è stato detto (ma non mi azzardo a fare citazioni!), la differenza fra la realtà e la fiction è che la realtà può permettersi di essere inverosimile, la fiction no. Quindi, se lei ha trovato inverosimile ciò che ho raccontato, non c'è prova di realtà che tenga: questo è il suo giudizio e basta. Io continuo a pensare che a non piacerle sia la mia voce, ma anche questa è un'opinione.
Ci sono però due cose che mi hanno colpito nella sua analisi lunga e dettagliata (e anche di questa generosità argomentativa la ringrazio).
La prima è un interessante errore espositivo che lei commette nel quarto periodo, scrivendo: "una sola classe formata da sei o sette ripetenti, perfidi e cattivissimi, pronti non solo a non studiare, ma a commettere crimini violenti, a drogarsi, a bullizzare i più deboli attraverso facebook." Le sembrerò un somaro, ma se io non avessi letto il romanzo (o scritto, fa lo stesso) davanti a questa frase mi farei l'idea che la classe sia appunto "formata da sei o sette ripetenti", mentre per la verità la classe è formata da quattordici studenti e nelle scene ambientate in aula si insiste molto sulla separazione anche fisica fra i sette “normali" e i sette del gruppo temibile.
Le parrà una distinzione petulante, ma siccome lei stessa introduce poi un criterio quantitativo parlando di "piccola o piccolissima percentuale", potrà capire che un po' di differenza c'è: se avessi catapultato il povero Laurenti in una classe interamente composta da bulli, l'inverosimiglianza sarebbe stata davvero palese. Oltre a tutto il gruppo dei "cattivi" non è compatto come lei lo presenta; i veri farabutti sono tre, e a loro si assommano una vittima (Chiara), due ragazzi deboli e palesemente manipolati (Visigalli e Nadir) e l'enigmatica Cristina. Ma questo sono appunto sottigliezze.
Le dico la verità: il vero pugnale lei me l'ha conficcato nel cuore, dolcemente ma con mano ferma, con quell'accenno al "piccolo orrore provato per una citazione palesemente sbagliata"!
È stato, mi creda, un colpo da maestra - o da prof, come preferisce! Mi sono trovato ribaltato all'indietro, rovesciato sulla schiena, a precipitare giù, giù nella voragine degli anni, fino a ritrovarmi in quella stagione della vita in cui sedevo io in classe e il semplice fatto che chi stava al di là della cattedra pronunciasse il mio cognome ("Montanari!") mi faceva sobbalzare ("Cos'avrò combinato?").
Chiara, lei mi deve svelare il mistero: quale sarebbe - pardon: qual è questa citazione "palesemente sbagliata"?
Conosce l'aneddoto zen su quei due monaci, uno giovane e uno anziano, che incontrano una bella ragazza in una strada fangosa di campagna? La fanciulla, elegantissima, sembra in imbarazzo nel dover saltare oltre un fossato. Il più vecchio la prende premurosamente fra le braccia e la trasporta di là. A sera, i due si fermano a mangiare qualcosa e il più giovane, che ha passato tutto il giorno ad arrovellarsi (come me! Come me!) non si tiene più e dice al compagno: "Io ho sempre saputo che noi monaci dobbiamo tenerci alla larga dalle ragazze, specie se graziose, perché possono turbare la nostra serenità". "Come?" risponde l'altro. "Ah, parli di quella ragazza là, quella che ho portato oltre il fosso? Io, dopo averla presa in braccio, l'ho lasciata lì. Tu invece l'hai portata con te fin qui?".
Insomma, lo ammetto: quel tormento sulla citazione "palesemente sbagliata", con in più il senso di colpa per averle suscitato orrore, mi ha seguito per tutta la giornata. Ora deve dirmelo, la prego.
Anche per un motivo molto semplice: mi vergogno da morire e non voglio che le successive ristampe del libro perpetuino l'errore - e l'orrore! Se lei mi fa la cortesia di segnalarmi la citazione sbagliata, non solo le prometto di eliminarla ma anche di citare lei - con il nickname o il nome vero, a sua scelta - nei Ringraziamenti che ci sono all'inizio del romanzo.

Intanto la ringrazio adesso per aver letto questa nota troppo lunga.
Suo Raul Montanari
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Chiara77
01 Aprile, 2018
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Gentile Raul Montanari, lei non si immaginerà mai la mia sorpresa nel leggere il suo commento alla mia recensione. Non sono certo una critica letteraria, ma una semplice lettrice: non pensavo assolutamente che questa potesse interessarla! Si tratta solo della mia personale opinione. Il suo libro è scritto benissimo, la prosa è scorrevole, la storia molto accattivante: infatti ne consiglio certamente la lettura e ho dato 3 stelline... Forse dovevo specificare meglio che il romanzo è piaciuto pochino soltanto a me, per delle motivazioni del tutto personali. Mi dispiace molto. Quando legge ogni lettore legge sé stesso: era anche questa una citazione? Non mi ricordo per niente.
Riguardo alla citazione sbagliata nel suo libro, mi scuso per aver parlato di "orrore", in effetti fa molto maestrina. E' una sciocchezza, alla p. 231 si dice "Ogni volta che mi capitava ricordavo quel passo di Marcovaldo che avevo commentato in classe, là dove Calvino racconta dei due sposi che hanno orari di lavoro così diversi da potersi incontrare solo in questo modo, sentendo l'uno il calore dell'altro quando si sdraia nel letto che il coniuge ha appena lasciato." In realtà il passo citato è sì di Calvino ma non si trova in Marcovaldo, ma nel racconto "L'avventura di due sposi".
Come dicevo è solo una sciocchezza, mi sono solo meravigliata che persone con una cultura sicuramente più approfondita della mia non se ne siano accorte.
Mi dispiace avere sbagliato il numero degli alunni della classe, come lei mi fa giustamente notare, è solo che dal romanzo sembrava che si dovessero considerare soltanto i cattivi, mentre gli altri studenti vengono descritti quasi con fastidio e disprezzo (un'altra cosa che a me non è piaciuta).
P.S. Non voglio essere assolutamente nominata da nessuna parte!
Cordiali saluti,
Chiara Landi
In risposta ad un precedente commento

04 Aprile, 2018
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Eccola!
È proprio vero che il diavolo si nasconde nei dettagli: come potrebbe la paciosa Domitilla, la moglie di Marcovaldo, scambiare quel po’ di calore del corpo con il marito mentre i loro destini lavorativi si incrociano, visto che con ogni evidenza è una casalinga e ha una nidiata di figli a cui badare? “Gli amori difficili”, non “Marcovaldo”!
E pensi che a Milano abito in via Calvino… Giovanni, però. Ma non è una gran giustificazione, visto che proprio il calvinismo di Giovanni mi avrebbe imposto di essere più rigoroso nel citare Italo.
Grazie, Chiara. Faccio correggere il testo.
Non si stupisca dell’errore: si fanno più sviste con i classici che con gli autori minori, e più gli anni passano più la memoria diventa quel labirinto di cui parla Borges, amatissimo da Calvino - e da tutti, spero.
Sarei davvero felice di inserire il suo nome fra i Ringraziamenti. Anzi, sa che faccio? Lo metto! Mi perdoni questa piccola prepotenza.

Un caro saluto a lei
suo Raul Montanari
In risposta ad un precedente commento
Chiara77
05 Aprile, 2018
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Va bene, mi ha convinto. Nessuna prepotenza, per me sarà un onore.
Un caro saluto anche a lei,
Chiara
Io mi sono solo persa a leggervi, con meraviglia e stupore; meraviglia nel sapere che le nostre opinioni possano arrivare agli autori e stupore per il cortese scambio che ne è nato. Grazie a entrambi.
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