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IL CANTO DEL CIGNO DI SCIASCIA
”Il cavaliere e la morte” è, non dissimilmente dagli altri romanzi di Sciascia, la storia di un misterioso delitto consumato nel rispettabile e inavvicinabile mondo di notabili e potenti, e dell’impossibilità da parte delle forze “sane” della società di assicurare il colpevole alla giustizia. La storia di un fallimento, quindi, e neppure troppo originale per chi conosce Sciascia, tanto è vero che esso culmina con la morte violenta del protagonista, un vice commissario di polizia, ucciso in un agguato per impedire che le sue intuizioni investigative possano smascherare gli astuti depistaggi e portare l’inchiesta alla verità.
E’ proprio nell’anonimo personaggio del Vice che però si riscontra la reale importanza dell’opera, quasi un canto del cigno per lo scrittore siciliano: infatti il Vice, colto, illuminista e incline a filosofeggiare, è un uomo che sta per morire, che anzi da tempo è “approdato su un’isola deserta”, per accingersi con dignitosa consapevolezza a compiere l’estremo passo. Nelle brevi e scorrevoli pagine del libro assistiamo, più che a una classica indagine poliziesca, a un vero e proprio addio alla vita, in un indefesso monologare interiore sul dolore, sulla memoria, sull’arte e sulla verità. Alla fine la sua uccisione, lungi dall’apparire una punizione, diventa quasi una sorta di liberazione, e persino un paradossale trionfo che, trasportandolo in una dimensione morale di superiore e beffarda indifferenza, lo solleva ben al di sopra dei loschi traffici e delle meschine macchinazioni di tutti i mediocri Aurispa di turno.