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Quando la prosa è poesia
Il Landolfi che preferisco è quello dei diari, de "La biere du pecheur" in particolare, con la sua scrittura "a caso", ricca e curata, perfetta per rendere le curve dei suoi dubbi, il divagare del suo pensiero.
Ma la bellezza della sua prosa, inconfondibile per non dire unica nel panorama italiano, si dispiega in tutta la sua luce anche in questo breve romanzo, ambientato in gran parte in un oscuro castello abitato da uno strano vecchio, due cani e forse da una presenza femminile.
Il protagonista vi cerca riparo dopo essere sfuggito tra i boschi a un non ben definito esercito. Siamo infatti nel periodo della guerra, della resistenza, ma vi si accenna solo all’inizio e alla fine del libro, quando i soldati irrompono a spezzare quella sorta di incantesimo che ha colpito il protagonista, e a sottolineare il ritorno alla realtà più cruda.
La vicenda si snoda tutta all’interno del castello tra fantasie, sogni, misteri. Non rivelerò della trama, peraltro ben congegnata, ma dirò della lingua, che ti seduce, ti avvolge, ti cattura: barocca e scintillante, quasi a far da contrasto alla storia, buia e “gotica”. Meravigliose in particolare le ultime trenta pagine, quando la prosa è poesia, e tutto si chiarisce e tutto torna.
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