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Quando la Storia diviene grande narrativa.
“Resto qui” di Marco Balzano: un romanzo dalla prosa essenziale, che non fa uso di inutili metafore, ma che va diritto al cuore nel descrivere fatti, situazioni, sentimenti. Anche l’amore, come l’odio e il dolore sono sussurrati, non urlati, ma non per questo meno forti. Personaggi veri, pur nella loro fittizia creazione artistica, che restituiscono credibilità ai luoghi e alle vicende storiche: tali sono Trina e Erich, Michael e padre Alfred, Ma’ e Pa’. Lo sfondo è quella parte del nostro paese più vicina al confine con l’Austria e con la Svizzera, dove il bilinguismo è stato per un lungo periodo più un problema che un vantaggio. Siamo a Curon in Val Venosta, dove durante il ventennio fascista e negli anni della seconda guerra mondiale la popolazione si sentiva più affine e vicina alla Germania che all’Italia e insegnare il tedesco era reato. Paradossalmente il Reich veniva visto come garante di libertà e benessere. L’illusione tuttavia sarebbe svanita con lo scoppio della guerra. Questa la situazione lacerante per molte famiglie del luogo, come quella di Trina e Erich, che dopo aver visto impotenti sparire la giovane figlia che segue gli zii attratta dal mito nazista, assistono all’arruolamento del figlio Michael nell’esercito del Fuhrer. Essi stessi, costretti a nascondersi nei boschi, dopo la diserzione di Erich, ormai disgustato dalla guerra, faranno infine ritorno nel loro paese ormai segnato dalle vicende belliche, dopo avere sofferto povertà e fatica, fame e solitudine.
La vita a Curon è ormai minacciata dalla costruzione imminente della diga che cambierà l’aspetto di tutto il territorio e sottrarrà la terra all’agricoltura e alla pastorizia, spazzando via case e masi.
“Il silenzio fermo delle montagne era sepolto sotto il rumore incessante delle macchine che non si fermavano mai”.
Anche la fede viene messa a dura prova, non resta che trovare in se stessi le risorse e le energie per andare avanti: “ La domenica siamo andati a sederci sulle panche della chiesa per l’ultima messa . Sono venuti a tenerla decine di preti da tutto il Trentino […..] È stata una messa che non ho ascoltato. Troppo presa a conciliare l’inconciliabile: Dio con l’incuria, Dio con l’indifferenza, Dio con la miseria della gente di Curon […..] Nemmeno la croce di Cristo si conciliava coi miei pensieri, perché io continuo a credere che non valga la pena morire sulla croce, ma è meglio nascondersi, farsi tartarughe e ritirare la testa nel guscio per non guardare l’orrore che c’è fuori.”
Solo la torre del campanile, così come oggi la si può ammirare, emergerà infine dalla valle allagata, simbolo eterno della violenza dell’uomo sull’ambiente.
La vicenda dolorosa di personaggi tenaci e coraggiosi diviene dunque il pretesto per parlare dell’arroganza del potere e dell’ipocrisia della politica.
Un libro bellissimo, profondo e commovente.
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