Dettagli Recensione
L'italiese
Si narra la vita di uno dei tanti 'dagos' (nomignolo per i nostri italiani emigrati negli U.S.A. a inizio '900, non propriamente desiderati...) che dopo anni spesi a cercar fortuna nella terra delle grandi opportunità tornavano in patria spesso a testa bassa ma sempre vantandosi di gloriose e fantomatiche avventure, dopo aver purtroppo cozzato con la cruda realtà, ovvero che la gloriosa terra non era poi così scontata da raggiungere.
Il protagonista è Antonio Bevilacqua (in 'Merica' sarà Tony Drinkwater) un garfagnino di Fabbriche di Careggine, giovane di belle speranze che si diletta nell'arte della recitazione cercando di sfondare nello spettacolo, sia prima, in terra natia, girando per la Mediavalle come attore di Maggio, sia dopo, oltreoceano, quando cercherà in ogni modo di far brillare la luce della sua stella sino a diventare una delle molte controfigure schermatiche di Charlie Chaplin (che detta così sembrerebbe un bel traguardo invece poi, nella storia, si rivelerà un fallimento personale)
Antonio non è il classico emigrante del secolo scorso, non si mescolerà mai nella schiera dei miserevoli costretti da fame atavica o dall'unica possibilità di sopravvivenza; è un personaggio privo della drammaticità intrisa in un concreto stato di povertà sociale difatti appartiene a una famiglia benestante della Garfagnana; il suo si dimostra piuttosto un vezzo, il desiderio di soddisfare lo spirito d'avventura innato, pertanto lascia l'Italia con un discreto gruzzolo di denaro il quale gli permetterà di non abbassarsi mai ai lavori più abietti e faticosi (contrariamente alla massa degli emigranti).
Tony racconta al narratore i suoi anni di 'Merica' usando - così come pare facessero tutti i rimpatriati - una lingua particolare, l'italiese, fantastico mix di vocaboli italiani e inglesi. Un esempio simpaticissimo è la parola cianza (chanche), ripetuta molte volte nel racconto orale del protagonista il quale – ormai anziano – ricorda di aver incontrato e sfruttato nel suo periodo Hollywoodiano.
E' un libro divorato in pochissimi giorni, una bella storia d'altri tempi che per certi versi, dato che tratta d'emigrazione, può ritenersi attuale, creando lo spunto per importanti riflessioni di natura socio-culturale.
Un plauso all'autore a mio parere è d'obbligo, per bravura e capacità nella descrizione capillare delle cosiddette 'terre di mezzo' (in questo caso poi riportate a quasi cent'anni fa!) di cui la nostra provincia italiana è ancora pullulante, con quel corollario di vita semplice, più aspra e più lenta rispetto alle città e ai grandi centri abitati.
E' ovvio che un lettore toscano sarà più spronato d'altri a leggere il Cecchini in quanto vi potrà riconoscere uno spaccato verace o un'accesa similitudine con la propria realtà territoriale. Per non parlare poi del lettore lucchese, ma quella è un'altra storia... potrebbe infatti (come nel mio caso) aver udito con le proprie orecchie, durante l'infanzia, certi aneddoti o vicende accaduti al tale o al tal'altro, che fosse uno dei propri avventurosi antenati o un semplice amico o conoscente del bis-nonno; una delle prime cose che mi salta in mente, per esempio, è la descrizione del commovente saluto degli emigranti al Volto Santo (n.d.r. il leggendario crocifisso ligneo esposto e venerato nella Cattedrale di San Martino a Lucca) che l'autore ci riporta narrando in maniera emozionante ed eccezionalmente veritiera; sembra proprio d'essere lì, in mezzo a quelle file di derelitti pronti a salpare definitivamente, si avverte, si palpa il languore e l'infinita tristezza per ciò che stavano lasciando (pensiamo a cosa significasse allora andare in America, un abisso rispetto ai nostri tempi da social e iper-connessioni...) intrisi e confusi da speranza e forte motivazione per quel sogno che li attendeva dopo un mese di nave.
E' auspicabile (non so se già in commercio o se mai verrà fatta) la traduzione in lingua inglese di quest'opera del Cecchini, in quanto potrebbe – a mio parere - esser letta dai molti italo-americani di seconda o terza generazione, discendenti dei valorosi italiani e delle loro gherle che lasciarono (e forse nemmeno rividero più) lo stivale in cerca di fortuna; potrebbe loro interessare per l'attinenza con le loro origini.
Concludo avvertendo della lieve pecca che potrebbe incontrare un lettore carente di intuizione (e non locale, ovviamente) e che pertanto è probabile dovrà consultare spesso il dizionario posto in fondo al libro, a chiarimento dei termini più ostici in lingua italiese.