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La fame di Pietro...
Rabbia, tanta rabbia.
Potrei racchiudere in questa unica parola quello che ho provato leggendo questo libro.
Ma non sarebbe corretto, sarebbe troppo riduttivo, disonesto...perché il libro affronta una tematica importante, complessa, più che mai attuale...e lo fa con un linguaggio asciutto, efficace, al servizio di una storia drammatica.
Ma partiamo dal titolo...
In realtà non c'è nessun "bambino indaco" (...e qui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte su questa figura nata nella cultura New Age), ma solo un bambino vittima di una maternità popolata da demoni.
Una maternità malata.
C'è una donna ossessionata dalla "purezza assoluta", che decide di intraprendere un percorso, per sé e per il figlio che porta dentro, di purificazione, di rigenerazione, di congiunzione con entità universali non ben identificate...col conseguente rifiuto di ogni elemento impuro, inquinato, sporco, quale il cibo.
E quindi al bando tutti i cibi cotti e solidi...e si dà il via ad un progressivo distaccamento dalla realtà, che la porterà ad una forma di anoressia, dove però l'obiettivo non è la magrezza in sé, ma la salvezza da tutto ciò che è contaminato, società compresa.
Passa il tempo, il bambino nasce, e il delirio di questa mamma cresce, cresce a dismisura...l'unico che non riesce a crescere è lui, Pietro...il figlio speciale che avrebbe dovuto salvare il mondo con la sua intelligenza superiore e i suoi poteri salvifici e che invece non riesce neanche ad essere semplicemente "un bambino".
I cetrioli, il succo di fico e l'olio di sesamo non sono assolutamente sufficienti a placare la sua fame, a farlo diventare grande.
Di fronte a tutto questo...c'è Carlo: un marito e un padre che non riesce ad arginare questa escalation di follia...non vuole perdere sua moglie, quella donna innamorata, serena e piena di vita che adesso non riconosce più, ma, allo stesso tempo, non può neanche assistere inerme al progressivo "spegnersi" di suo figlio.
Cerca aiuto nella sua famiglia e nelle istituzioni...ma nulla andrà come previsto.
L'amore diventa guerra.
La Chiesa diventa rifugio dell'amore di una nonna che sfama suo nipote con fette di prosciutto più sacre dell'eucarestia (la scena più bella e più intensa di tutto il romanzo, per me).
E l'orrore s'insinua nel luogo più inaspettato di tutti...il grembo materno.
È un libro che leggi con una certa ansia, con una "fame" pari a quella del bambino che urla nella culla, vorresti intervenire, scuotere lei dalla sua smania di controllo, scuotere lui dall'impasse da cui non riesce ad uscire, senti di avere poco tempo prima che la situazione precipiti.
E vuoi salvare Pietro. Solo questo.