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Il fiume dell'oblio
La scordanza di Dora Albanese profuma di Sud, dei suoi odori intensi, delle sue magie, di vita dura, di passioni violente, di un tempo arretrato, immobile, sempre uguale a se stesso.
Ambientato in un piccolo paese della Basilicata, atavico ed ancestrale, nella notte dei tempi, narra la storia di Caterina, donna, madre di due bambini piccoli, che sopporta con pazienza le angherie, le assenze e gli schiaffi del marito Antonio. Ma in quel posto la tradizione vuole la donna umile e sottomessa, paziente sposa in attesa muta e circostanziata, la sopportazione è la normalità. Ma Caterina vuole compiere il grande passo, è emancipata, va a lavorare in un maglificio sotto lo sguardo attonito della madre Eufemia e della cognata, serpe velenosa che non perde occasione per lanciare invettive contro quella “donnaccia”. L’aria che si respira per tutto il romanzo è asfittica, immobile e soffocante, per cui pare una liberazione, un respirare nuovamente aria pulita e frizzantina, quando Caterina incontra Nadir, un tunisino in guerra totale e continua con il mondo intero. E’ amore, un amore violento e mai sazio. Un amore totale ed appassionante che fa perdere il lume della ragione. Così Caterina abbandona marito e figli, pentendosene amaramente in seguito. Devo ammettere che all’inizio ha amato e parteggiato per il personaggio di Caterina; dopo questo gesto l’ho apprezzato molto meno. Certo è una donna in fuga e lo sarà per tutto il testo, alla continua ricerca ed affermazione di se stessa, che non esita a tradire tutto e tutti. Ma lo fa lasciando sul campo vittime innocenti e privi di malizia, soprattutto il figlio maggiore Eustachio e Francesco, la sua stessa madre Eufemia, che si rivela, in fondo, il personaggio di grande forza umanitaria, di morale e di grande animo. Eufemia è veramente donna: atavica, saldata fortemente agli ideali e ai valori di un tempo, non esita a curare il nipote, paralizzato dalla fuga materna, e si assume tutto il peso delle proprie e altrui responsabilità.
Un romanzo familiare, di una scheggia impazzita, una madre che discute con il richiamo materno, per dare voce al suo malcontento, alla sua insoddisfazione, alla sua auto-denigrazione. La violenza è resa con un linguaggio fine e privo di fronzoli, di una brutalità che sconvolge. Forse perché tutti patiscono il fascino della fiumara della scordanza, ovvero:
“La storia della fiumara della scordanza. Le sarte di Muggera, compresa sua nonna, la conoscevano bene. (…) Accadeva che le donne più anziane, quelle che si sentivano prossime alla morte, si recassero dalla loro sarta di fiducia con la stoffa nera avvolta su di un cartone. (…) Se le misure erano esatte, il fantasma della morta oltrepassava il ruscello e di colpo dimenticava tutto della sua vita terrena, la sua anima si purificava nella pace eterna; se invece le misure erano state calcolate male, il fantasma non riusciva ad aprire il passo né ad attraversare il ruscello: a quel punto era costretto a tornare indietro, sulla terra, e qualche volta infastidiva la sarta che gli aveva combinato il guaio.”