Dettagli Recensione
Una storia d'Africa
“Lo straniero è come un fratello che non hai mai incontrato”
È una storia piccola e preziosa, quella racchiusa tra le pagine del romanzo “Aìli che voleva correre”. Una storia sospesa tra sogno e realtà, una di quelle che le drammatiche cronache del nostro tempo non ci raccontano né mai potranno farlo, poiché ci vuole cuore per guardare lontano, oltre i confini della miseria, oltre le assolate rotte di sabbia e acqua, oltre i rovinosi naufragi che inghiottono la speranza di chi si mette per mare così come la nostra indifferenza.
Aìli è una giovanissima donna a cui viene restituita la dignità di un nome e di un ricordo. Figlia di un angolo dell’immensa terra d’Africa, la ragazza incarna i palpiti di un continente intero che vive quotidianamente vecchi drammi e contraddizioni, sempre in cammino alla inquieta ricerca della propria strada verso un futuro migliore. L’Africa, dunque, al pari di Aìli, è la protagonista di questa storia, con il suo essere un po’ madre e un po’ matrigna, con il suo mosaico di genti e culture, i suoi grandi spazi aperti e cieli sconfinati, la bellezza struggente dei suoi tramonti, le sue antiche fiabe, i suoni, i profumi e i colori che rapiscono l’anima con il loro fascino; protagonista fino in fondo, l’Africa, fin sui barconi “carichi di volti e di corpi, di sguardi e di sorrisi, di dolori e di speranze” che, infine, coraggiosi attraversano quel grande cimitero che è ormai diventato il Mediterraneo.
Bellissimo romanzo, che non ha deluso le mie aspettative. Un ottimo esordio per l’autrice Adriana Pillitu, la cui scrittura, oltre che perfetta, è intrisa di una delicatezza profonda e dalla quale traspare una sensibilità particolare che, in tempi di muri e barriere di filo spinato antimigranti, rappresenta qualcosa di estremamente prezioso come la stessa vicenda narrata. A far da cornice a quest’ultima temi di non poco conto, quali la rapina delle terre, il traffico d’armi e di uomini, vecchi e nuovi colonialismi, su cui la spesso tronfia società occidentale dovrebbe riflettere di più, dal momento che essa – historia docet – ha nei confronti del continente africano gravissime colpe e responsabilità ben precise. Riflessione e azione, in verità, sarebbero auspicabili. Prima che sia intollerabilmente troppo tardi. Prima che la storia di Aìli possa ripetersi all’infinito e la sua corsa sognante si fermi per sempre alle porte della fortezza Europa, tra le onde di un mare che dovrebbe essere, di nuovo e soltanto, un ponte tra popoli e civiltà.
“Si lasciò andare, Aìli, e trovò quasi consolatorio l’abbraccio delle onde, che l’avvolgevano e la trascinavano. Si racchiuse su se stessa, piegò le ginocchia e si raccolse. Era un ventre materno che, invece di darle la vita, a poco a poco gliela portava via. Il suo sogno si infranse proprio lì, ingoiato dalla violenza del mare.”