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“Cosa significa essere matti?"
“E questa malattia, che non si sa se è una malattia, la nostra superbia ha denominato pazzia.”
Non un romanzo, ma una sorta di diario, di cronaca, attenta e profondamente umana, della vita tra le mura di un ospedale psichiatrico nelle vicinanze di Lucca, quello di Maggiano alias Magliano, presso il quale l’autore lavorò a lungo come medico.
Mario Tobino, di cui non avevo letto ancora niente e che ho scoperto letterariamente prolifico, mi si è svelato come un grande scrittore, capace di raccontare un mondo per buona parte nascosto e sconosciuto ai più. Tante le vicende che rivivono tra queste pagine, piccole storie non soltanto di pazienti (e non esclusivamente donne), ma anche del personale in servizio presso quella struttura. Il manicomio stesso, sospeso in una dimensione temporale perennemente al presente, emerge come un microcosmo dove, in definitiva, il confine tra follia e sanità mentale non sempre è così netto. Ma la pazzia esiste davvero? E qual è il senso del suo esistere? Non ho potuto fare a meno di soffermarmi su alcune riflessioni dell’autore, compresa quella che ho riportato come titolo:
“Cosa significa essere matti? Perché si è matti? Una malattia della quale non si sa l’origine né il meccanismo, né perché finisce o perché continua.”
“[…] i matti non hanno né passato né futuro, ignorano la storia, sono soltanto momentanei attori del loro delirio che ogni secondo detta, ogni secondo muore, appunto perché fuori del mondo, vivi solo per la pazzia, quasi avessero quel compito: di dimostrare che la pazzia esiste. Incomprensibili piante senza radici, ombre che blaterano parole senza senso e senza memoria.”
A parte un paio di rapidi accenni all’elettroshock e vari riferimenti alla nuda cella dove venivano rinchiuse per giorni le malate più esagitate, il libro non parla delle cure psichiatriche cui si ricorreva all’epoca, come se certe cose, forse per deontologia professionale, non dovessero fuoriuscire; del resto, non si dimentichi che correva l’anno 1953 quando l’opera fu pubblicata: si era ancora lontani dalla presentazione della Legge Basaglia e all’interno dei manicomi non era certo un gran bel vivere. Forse Tobino ha fatto bene a non essersi addentrato nello specifico delle terapie; c’è già abbastanza dolore in ciò che ha scritto, non c’era bisogno di aggiungerne dell’altro, rischiando, per di più, di cancellare la poesia che si respira nella sua prosa pacata e malinconica, come quando si sofferma sul canto delle cicale e sullo scorrere imperturbabile delle stagioni intorno al colle del manicomio.
“Le libere donne di Magliano” è uno di quei capolavori silenziosi e discreti da leggere con profondo rispetto per la vita e la morte che vi scorrono dentro, ricordandoci sempre dell’estrema fragilità della nostra esistenza.
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Questo è un libro che merita di esser letto! :)
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