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Storia di due destini divergenti
Ho comprato "L'amica geniale" con un po' di scetticismo, che l'autrice ha infranto già dalle prime pagine, sebbene conservassi una certa perplessità nella lettura.
La perplessità non riguardava la piacevolezza del libro, senz'altro non discutibile, ma l'argomento. Più andavo avanti e più la mia opinione si evolveva, cambiava, tornava al punto d'origine; la domanda che mi frullava in testa era sempre la stessa:
Di cosa parla, in realtà, questo libro?
A chi me lo domandava, biascicavo, poco convinta, "E' la storia di un'amicizia".
Ho capito davvero di cosa parlasse il libro, solo quando ne ho portato a termine la lettura.
"L'amica geniale" è ambientato nel secondo dopoguerra e tratta, per l'appunto, lo sbocciare del legame tra la protagonista e voce narrante, Lenù, e Lila, unica, singolare, crudele.
Le due bambine nascono e crescono nello stesso contesto, il "rione" povero di una Napoli che si preparava al boom economico degli anni 70/80, un contesto dove le regole sociali sono dure, inevitabili.
I tre quarti di questo primo libro, si dedicano alla descrizione minuziosa di quella che sembra essere, sin dagli albori, una concatenazione umana che per la protagonista, Lenù, assume i connotati di una dipendenza psicologica dall'amica, Lila. Lila, sin da piccola, non è come le altre: la scrittrice mette nero su bianco parole che suggeriscono non propriamente concetti, ma sensazioni. La sensazione che Lila sia speciale, che la sua intelligenza singolare abbia il dono di rendere qualsiasi cosa meravigliosa: lo studio, la bottega dello scarparo, il latino.
Nella competizione continua, che affibbia alle due bambine il rigido ruolo di amiche/nemiche, Lenù trova lo stimolo per migliorarsi sempre di più, per spingersi sempre più avanti in questa gara di meriti e di destini; la dipendenza psicologica da tutto ciò che Lila pensa e fa è, infondo, la vera protagonista di questo primo volume, viene fuori ad ogni pagina in modo onesto e veritiero, ed Elena avrà modo di liberarsene parzialmente solo anni dopo, quando sarà certa che la possibilità che i loro destini si sovrappongano e si riuniscano, sia del tutto naufragata.
"L'amica geniale" tratta un tema puramente sociale e lo fa con la sincerità e la schiettezza tipici di una -
ufficiosa - autobiografia, dove i luoghi sono privi di topografia ("rione vecchio", "rione nuovo", "tunnel") e dove i nomi - persino quello dell'autrice - sono stati cambiati.
L'opera riflette sul ruolo brutale e decisivo, nella vita, della fortuna; è una storia di destini che si incrociano e che finiscono per non sovrapporsi a causa di un unico, singolo, decisivo "no", quello pronunciato dalla madre di Lila sulla questione posta dalla Maestra Oliviero, quella cioè di continuare gli studi anche dopo la licenza elementare. I destini delle due ragazze, così, si separano definitivamente, seppur tra molte rimostranze.
La storia è bella non solo perché è sincera, non solo perché evidenzia il ruolo decisivo dell'istruzione (ai tempi) nella scalata di classe, ma anche perché assume le sembianze, per chi a Napoli ci è nato e cresciuto in tempi più moderni, dei racconti dei Nonni; l'autrice ha un modo di narrare che, come afferma lei stessa nel suo libro, in riferimento allo stile scrittorio della protagonista, - forse in una sorta di riflessione metaletteraria del tipo "libro nel libro" -, sprigiona una potenza di cui non si riesce ad individuare precisamente la provenienza, ma che è, in definitiva, un dato di fatto.
"L'amica geniale" è il racconto di due riscatti; il primo pienamente sublimato, cioè quello di Lenù, la cui ambizione meticolosa e affannata, la porta a rovinarsi la vista sui libri pur di fare meglio di Lila, meglio dei suoi compagni delle elementari, meglio di sua madre; il secondo, quello di Lila, mal realizzato per altre vie (i soldi di Stefano e dei Solara) e fallito miseramente.
La chiusa, al matrimonio di Lila, anticipa il tema del successivo capitolo.
Elena è lì, in presenza dell'intero rione vestito a festa, alla ricerca di un senso d'appartenenza; gli studi e il mondo che la scuola e i professori le hanno spalancato dinanzi, non le permettono più di trovarsi perfettamente a proprio agio nel suo ambiente natìo, che sente di essersi lasciata alle spalle; d'altra parte, come si vedrà e come lei stessa intuisce già nelle ultime pagine, nel contesto della "Napoli bene", della Napoli colta, non riuscirà mai a lasciarsi alle spalle la figlia del portiere.
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