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Sofia, Tomaso e il mistero di Clarice.
Sofia Bauer a seguito del suo matrimonio con Alberto De Santis ha dovuto accantonare tutte le sue passioni nonché il suo lavoro in biblioteca. Essendo il legame giunto a conclusione, la donna decide di separarsi dal compagno. Da questo momento la sua vita cambia: se da un lato un misterioso libro riesce ad affascinarla e a risvegliare tutti i suoi interessi, dall’altro, Tomaso Leoni, grafologo che l’accompagna nella risoluzione del segreto che ruota attorno a quelle pagine, forse riuscirà a farle battere il cuore come nessuno è mai riuscito a fare.
E’ mediante “Discorso sulla natura”, primo volume de “L’elogio della perfezione” (composto da: “Discorso sulla natura”, “Discorso sull’uomo” e “Discorso sul pensiero”) di Christian Philipp Fohr, che la protagonista viene a conoscenza dell’esistenza di Clarice Marianne Von Harmel, giovane nobile nata e cresciuta nel 1800 e in qualche modo legata al tedesco. Nel restaurare il testo, ormai lacero e rovinato dal tempo, essa recupera una lettera da quest’ultima scritta. Chiaramente questa rinvia agli altri capitoli, ma perché? Che indichi l’esistenza di un disegno più grande collegato alla trilogia? E che ruolo ha Clarice in tutto questo? Affiancata da Tomaso, Sofia non si fermerà davanti a nulla, perché deve scoprire dell’arcano. E sarà tramite questa analisi che ritroverà anche se stessa.
Con un linguaggio chiaro e elegante, Cristina Caboni dà vita ad un elaborato piacevole che racchiude al suo interno molteplici riflessioni su quella che è la condizione della donna e la sua evoluzione nei secoli. Lo scritto si fa scoprire rapidamente da chi legge e invoglia ad andare avanti soprattutto per la riscoperta dell’enigma che si cela dietro la figura dell’autrice delle lettere.
Unica difficoltà che ho riscontrato nello scorrimento è stata l’eccessiva impostazione fiabesca del componimento. La sensazione è infatti quella di trovarsi di fronte ad un testo che negli intenti ha un’ottima base di presupposti ma che nel concreto fatica a risultare plausibile perché troppo novellato. A più riprese, non celo, di essermi trovata a pensare di essere di fronte ad una favola.
Nel complesso, quindi, un libro gradevole, non impegnativo, adatto a chi ama le storie romantiche e con quell’alone di mistero radicato nel passato. Da leggere ma con questi presupposti.
«Non sarò certo io a doverle ricordare che i libri sognano. [..] Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni» p. 83 (cit. di Ennio Flaiano).
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Un altro suo libro, in precedenza, mi pare di ricordare fosse stato un successo.