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Avevo imparato la distanza durante le violenze
La figlia maschio riconferma che Patrizia Rinaldi è voce potente e originale della narrativa italiana. Con quest’opera a quattro voci – un palazzinaro che incarna l’arroganza del maschilismo (“Da quel giorno sei diventata un’ossessione pornografica da consumare in privato”), una donna soccombente e recessiva, un intellettuale asservito al potere economico e Na, giovane donna cinese che ha patito le regole imposte da una società spietata e da un’umanità violenta – affronta temi forti, a volte intollerabili (“I padri veri o finti mi volevano, ma non come figlia… legata al mondo con il fiocco rosa dell’incesto”), con uno stile inconfondibile (“Ti portai nel sestiere più orientale, per questioni di appartenenza tua a qualsiasi oriente…”), distintivo e non convenzionale.
Ritengo accattivanti modalità e toni con i quali Patrizia Rinaldi esercita la sua critica profonda, che qualificherei neo o post femminista se non fosse riduttivo imprigionare un’essenza in una formula, nei confronti di esistenze, psicologie e modelli socio-culturali – tanto orientali quanto occidentali - che hanno perpetuato squilibri, diseguaglianze e rapporti di potere nella lotta sfrenata che ogni giorno vede contrapposti dominatori e vittime, aggressori e prede, in questo nostro mondo insensato e conflittuale.
Giudizio finale: polifonico, critico, inquietante.
Bruno Elpis