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Ero il figlio del grande Giorgio
Il mare dove non si tocca è una sensazione che chiunque abbia imparato a nuotare ha per lo più sperimentato. Per il piccolo Fabio – sarà autobiografia per Fabio Genovesi? - si tratta di mettere in pratica il detto secondo il quale se vieni buttato in mare hai due alternative: o affoghi, o impari a nuotare.
E Fabio, tra i terrori di un bambino che vive in una città di mare, quell’estate finalmente impara a nuotare grazie all’amato padre (“Avevo dieci anni ed ero il figlio del grande Giorgio, che era arrivato sul pianeta Terra con la missione di aggiustare tutto, e invece adesso stava lì fermo su un letto meno vivo dei fiori che gli mettevano sul comodino”).
Fabio appartiene a una famiglia eccentrica, una comunità autarchica che vive nel villaggio Mancini, con una frotta di zii che pretendono di fargli da padre e da nonni, tanto più quando il vero padre – il grande Giorgio, uomo di poche parole e di molti fatti - viene ricoverato in rianimazione per un grave trauma. In realtà quegli strambi zii imbarazzano il bambino per tutte le stravaganze che compiono.
Il mare dove non si tocca è la storia – divertente (quando il bagnino causa a Fabio una frattura per esultanza eccessiva dopo un goal della nazionale, un familiare replica: “Ma figurati Rena’, son cose che capitano, e poi il gol era valido”) e commovente al tempo stesso – di una presa di coscienza del valore della diversità (“In tutto questo mondo che gira e traballa, la normalità è la stranezza più grande che ci sia”), narrata in modo credibile, per linguaggio e mentalità, dall’angolatura di un ragazzino che dall’infanzia (“Avevo scelto FungoMan”) transita nel complicato mondo dell’adolescenza (“La mia cattiveria… mi ha insegnato come si smette di essere soli e diversi, come si fa a essere uguali agli altri, quanto è facile fare schifo come tutti quanti”).
Giudizio finale: divertente, commovente, circolare come la filastrocca “C’era una volta un re, seduto sul sofà…”
Bruno Elpis
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