Dettagli Recensione
Al confine delle cose
Un itinerario montano quello di Pietro Zambelli detto Zambo tra luoghi aspri e spopolati (“Il villaggio era un fantasma di pietra. Arrivarci era complicato. Se chiedevi a una guida turistica, te lo avrebbe sconsigliato senz’altro. Solo un reietto o un fuggitivo si sarebbero spinti fin lassù”). Parte da Marsiglia (quella italiana, in Liguria) in compagnia del cane Tobia, custodendo una pistola ( “La Smith & Wesson calibro 357 era ancora lucida”), nel ricordo di un suicidio scioccante. S’imbatte nel vecchio amico del padre – Dindon – e in una piccola comunità della quale fa parte Agnese, ex tossicodipendente, con la quale intreccia una primordiale relazione amorosa.
Lagdei e Lago Santo, Cerreto Alpi, Monte Sillara, Codiponte sono le tappe di un viaggio che ha per destinazione Arcidosso (GR) tra il Monte Amiata e il Monte Labbro (“Devo raggiungere una casa in Maremma”), ove il padre ex partigiano aveva una proprietà (“Sto andando al podere sul Monte Labbro”).
Il salvataggio di un lupo è preludio di ritorno a rapporti semplificati, elementari, essenziali (“Io sono venuto qui al confine delle cose”) al limite del cinismo (“Un uomo che scavava una fossa e un lupo in un villaggio che l’Italia si era dimenticata furono per poco tempo vicini come non era mai successo, come se né l’uno né l’altro appartenessero alla propria razza, ma avessero trovato un modo di vivere antico e selvatico in quel tratto abbandonato di mondo”).
Giudizio finale: nudo e crudo, grezzo e brado, selvatico.
Bruno Elpis