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In overdose
“Teng’a criatura”
“Creature” si dice a Napoli. Cosi’ pure vengono chiamati dalle loro madri i ragazzini della Paranza, come se i “bambini” appartenessero al mondo dei balocchi mentre sul pianeta della droga si e’ diretti discendenti del Creato. Senza regole, senza infanzia, senza innocenza vogliono tutto e tutto si prenderanno in qualsiasi modo.
E’ una guerra tra clan, che sancirà i nuovi prìncipi delle piazze ed il Re di Napoli. Sono i vecchi e potenti boss, rintanati a governare nei loro bunker, sfidati da giovanissimi che mirano al potere ed al trono.
La paranza dei bambini sopravvive ed incalza, guidata dal Maraja che si rivela essere un ottimo stratega oltre che un leader brutale.
Da Forcella a San Giovanni a Ponticelli, l’anziano boss non puo’ scoprirsi ad uccidere un ragazzino. Sarebbe come ammettere di averne paura. Ma le creature crescono, piu’ ci si avvicina al Regno dello spaccio e piu’ la via verso il Creato sara’ sgombra anche per loro.
Tolto il conflitto iniziale con la memoria annebbiata, costretta ad una moltitudine di personaggi ed una infinita’ di interazioni, il ritmo promette bene.
Il libro inizia schizzando, come carburato a V Power e pilotato da un pusher cocainomane inseguito dall’Antidroga. Il punto e’ che la trama non decelera mai, costringendo i primi entusiasmi in una snervante overdose di eventi. E’ talmente fitto di colpi di scena che ci si trova ad implorare un po’ di calma, che il troppo storpia. Apprezzo la volonta’ dell’autore di denunciare il maggior numero di dettagli inosservati nella realta’ di cronaca, ma la missione non deve diventare ossessione.
Nel “ Bacio Feroce” ho scoperto un Saviano scarsamente brillante nella penna, accumulatore compulsivo di fatti e dettagli a discapito dell’empatia che altrove ha dato un taglio emozionale alla prosa.
Pareva insomma la sceneggiatura di una decina di episodi di fiction, piu’ che narrativa fine a se stessa. Sensazione pruriginosa quando si compra letteratura e ci si ritrova impalmati ad una promessa di telecomando.
Il bellissimo “La paranza dei bambini” era un romanzo di denuncia ben calibrato, vergato con ardore e rabbia, con cuore e con estro. Il suo sequel scorre si’ cruento, feroce e disilluso. Ma e’ scritto in modo esondante, bulimico; e’ scritto.
Diffusissimo il napoletano nella stesura dei dialoghi, trattasi di un dialetto tanto musicale, scenografico e imprescindibile nel contesto che la potenza impressa val bene la poca fatica nel comprenderlo.
Benino ma non benissimo.
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