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SONO TORNATO: TUTTO È CAMBIATO, TUTTO È UGUALE
Pavese, uomo delle Langhe, racconta nel suo secondo romanzo, edito nel 1950, il ritorno di un uomo delle Langhe, il ritorno di un girovago bastardo che cerca ancora la sua identità. È la storia di Anguilla, nato e cresciuto nelle Langhe e io narrante di questo testo. La sua identità è costruita sul suo vissuto, lui sa solo di essere stato un bimbo senza famiglia, allevato poi da contadini in cambio di un sussidio, per proseguire la sua crescita, dopo la morte del padre adottivo, come garzone presso un’altra cascina. Ha dunque una storia e si è gradualmente creato un’identità, torna dall’America, deluso e amareggiato, sperando di ritrovare ciò che il suo ricordo ha cristallizzato. Ma la vita è fugace, pur essendo nelle Langhe tutto uguale, alla fine niente è uguale. Le persone, i luoghi, gli eventi sono altri. È terminata la guerra e la terra restituisce ancora i cadaveri dei tedeschi sepolti, su nelle colline. La lotta partigiana ha segnato territorio e persone, la fame ancora di più. Per alcuni lui non è più il bastardo da prendere in giro, qualcuno nemmeno si ricorda più di lui ed egli vive un senso di infinito sconforto nel mancato riallineamento del ricordo con la realtà. Lui ricorda tutto: la cascina Gaminella, la Mora, le sue tre padroncine delle quali narrerà l’infausto destino. Perfino Nuto, il suo caro amico, è diverso. Sparita l’aura mitica, è uomo fatto , non più il ragazzo grande mitizzato dal più piccolo. Tutto delude e incupisce nella terra della luna e dei falò, nei luoghi dove ancora le credenze popolari hanno diritto di esistere anche se qualcuno le taccia di superstizione. Avvicinandosi il momento di lasciare la probabile terra natia (neanche di questo ha in fondo certezza), Anguilla può solo rimettersi al suo destino, quello che per lo meno gli permette di aiutare Cinto, il piccolo nuovo Anguilla confinato nella disgrazia della sua misera vita. È un romanzo diretto, crudo, reale che riassume la poetica dell’autore: componimento di certa matrice autobiografica a esprimere angoscia esistenziale e il difficile “mestiere di vivere”.
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