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La montagna e l'uomo in Paolo Cognetti
La montagna è il luogo fisico ed ideale di questa storia, il romanzo di Paolo Cognetti dal titolo Le otto montagne, vincitore del Premio Strega 2017.
Ogni volta con quest’autore lo stesso incantesimo: la scrittura attenta, evocativa, la parola misurata a raccontare frammenti di vita, il non detto che si insinua tra le pagine e ti resta dentro forse ancor più delle parole. E’ un narratore raffinato, che si muove agilmente tra generi e forme espressive differenti, tra racconti, romanzi, documentari, poesie, diari di viaggio, cambiando ogni volta abilmente registro. E in quest’ultimo romanzo c’è dentro lo scrittore che conosciamo ed amiamo, tuttavia è qualcosa di completamente nuovo e differente. Di intimo, personale, lirico, ma anche brutale, selvaggio e scarno. Come la montagna incantata che è custode e a sua volta protagonista di questa storia di affetti familiari e di amicizia. Un romanzo di formazione e di amicizia maschile. E’ il racconto di quel rapporto che qualche volta si instaura tra uomini, scarno di parole, essenziale, forte e quasi primordiale. Un’amicizia così può nascere solo da ragazzini e si è fortunati se sarà capace di superare la prova del tempo, della vita che si mette in mezzo, della distanza e delle incomprensioni. E’ quella che lega Pietro e Bruno, un ragazzino di città, solitario e pallido, e un altro costretto a crescere in fretta in un piccolo paesino ai piedi del Monte Rosa dove la vita è scandita dal duro lavoro e dai ritmi dettati della natura. Diversi, eppure anime affini che si riconoscono e, senza bisogno di troppe parole, diventeranno amici. Perché le parole non contano, come non conta la distanza che li separa: ogni estate, Pietro lascia la città per fare ritorno insieme alla famiglia tra quelle montagne e, ogni volta, Bruno è lì ad aspettarlo, come se non fosse passato che un giorno. Quello che dalla pagina prende vita è il racconto della prima estate di scoperta e di avventure, ma anche di tutte quelle che sono venute dopo, delle distanze, delle incomprensioni, delle difficoltà della vita, di perdita e sensi di colpa, parole che mancano ed altre che sembrano superflue. Di due ragazzini che in qualche modo cercano di diventare adulti, sbagliando, cadendo, riprovando: ma anche di due famiglie, diverse ma entrambe imperfette, di padri, soprattutto, fragili o brutali, di distanze e sensi di colpa che all’improvviso pesano come macigni e sembrano impossibili da superare, di donne silenziose e risolute in un mondo di uomini.
E la montagna, naturalmente. Quella che aveva fatto innamorare i genitori di Pietro, tanti anni prima, poi abbandonata in fretta per la città, nuove opportunità da cercare, un figlio da crescere, vecchi segreti da custodire, ma una malinconia nel cuore da cui sembra impossibile sfuggire; finchè una montagna diversa, un paesino minuscolo a qualche ora di viaggio da Milano, rivela a Pietro un mondo completamente nuovo e una squarcio sul passato dei suoi genitori, che in quella casa in affitto per l’estate riscoprono ritmi e desideri mai davvero dimenticati. A Grana, il paese ai piedi del Monte Rosa, il ragazzino osserva i suoi genitori, uniti eppure differenti, scopre frammenti della loro storia, e, soprattutto, impara ad amare a sua volta la montagna. Le gambe, che giorno dopo giorno scoprono l’andatura giusta, il cuore che trova il proprio ritmo, la fatica, le vesciche, sentire da seguire e altri da inventare, il mal di montagna con cui imparare a fare i conti. Lì, nella natura Pietro segue ogni giorno suo padre, da lui apprende i segreti di quella vita e scopre di amarla, struggendosi nei mesi di lontananza, in città:
“Così adesso conoscevo anch’io la nostalgia della montagna, il male da cui per anni l’avevo visto afflitto senza capire.”
C’è moltissimo in questo romanzo: dalla descrizione di un mondo che si sta perdendo per sempre, alla malinconia, alla speranza ostinata di un recupero sempre possibile, al tema della paternità di padri di sangue e di elezione, quasi sempre fragili. Attraverso una lingua essenziale eppure straordinariamente evocativa ed intensa, Cognetti costruisce un romanzo breve in cui si avverte l’eco dei maestri che l’hanno formato, delle innumerevoli letture, dell’esperienza in montagna. In definitiva: la storia di uomini, uomini che provano a diventare adulti, di vite. Di vite, racchiuse lì, ai piedi della montagna.
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