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il sotterraneo mutismo della provincia italiana
Piccola osteria senza parole di Massimo Cuomo parla di un uomo, palesemente meridionale, Salvatore Maria Tempesta, che sta cercando un campanile. E finisce a Scovazze, un paese immaginario, al confine tra Veneto e Friuli. A Scovazze capita in un bar osteria, il Punto Gilda, gestito dalla procace Gilda, appunto, appena rimasta vedova. E da qui passano, si incrociano, si scontrano, si amano, si odiano un po’ tutti i personaggi del libro. Che parlano poco, bevono molto, bestemmiano il giusto. Sono un po’ razzisti, all’italiana, ma si fanno voler bene. Sullo sfondo USA94 e come maestro di cerimonie Salvatore Tempesta che, fino alla fine, nessuno lo sa che ci fa da quelle parti lì. Sanno solo che è:
“il terrone che porta sfiga”,
che non le manda a dire, che beve lemonsoda e che piano piano, inesorabilmente, mentre cerca il suo campanile intorno al quale si dipana un mistero, manovra, conquista e stravolge la piccola realtà di Scovazze. Che è la “provincia italiana”: abbattuta dalla crisi economica, e sociale, e sostenuta da silenzi in realtà pieni di chiacchiere e pettegolezzi e drammi. Intorno a Tempesta e al suo mistero girano tutte le storie dei vari, meravigliosi, realissimi, personaggi: storie d’amicizia e d’amore, di dipendenze, debolezze e diversità. Il paroliere che Tempesta porta con lui, ossimoro della mancanza di parole, è la staffetta. Passando di mano in mano, sfiorando le vite di questi personaggi, aiuta a raccontarle e a trasformarle.
Piccola osteria senza parole si fa leggere velocemente, perché in accordo con il titolo, l’autore ha usato poche parole, quelle necessarie. Il risultato è, insieme ad uno stile spezzettato, periodi cortissimi e tantissimi punti, tutta una serie di scene brevissime che messe insieme fanno la storia. O meglio, le storie. Può anche non piacere. Può disturbare questa sensazione di non avere delle belle paginone piene zeppe di dettagli. Può far perdere il filo, la concentrazione… Ma io l’ho adorato. Un libro intelligente, spassoso, realistico nella sua originalità. Dei ritratti superbi. Accompagnati dalle storie parallele, ugualmente importanti, ci ritroviamo quasi inconsapevolmente a seguire un po’ in sordina il mistero di Tempesta e del campanile. L’autore ci distrae per poi darci il colpo di grazia. Ne consegue che le ultime pagine sono bellissime, fittissime e il finale non è per nulla scontato.
Un po’ giallo, un po’ commedia, Piccola osteria senza parole, è un libro molto bello. Da consigliare perché, senza banalità, racconta una parte del vissuto italiano che per molti è sconosciuto e per chi lo conosce, appunto, è banale, spento. Non è un libro buonista, dice la verità senza abbellirla troppo. Ci racconta dell’amore che ha molte facce, e della vita e della verità. Tutte cose che certe volte non sono bianche, né nere, ma grigie. E va bene così. Un libro che racconto con una “seria” e appassionata leggerezza la vitalità nascosta sotto il mutismo della periferia italiana.