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“Non ho mai visto un comico più triste di te..."
Ero piccola quando vidi per la prima volta “Il monello”, film davvero strappalacrime secondo la mia percezione di allora. Per me, Charlie Chaplin e il suo indimenticabile personaggio Charlot restano legati indissolubilmente proprio a quella splendida pagina del cinema muto.
Era un comico triste, Chaplin, ha ragione la Morte che, in questo bel romanzo di Fabio Stassi, si presenta all’attore ormai anziano alla vigilia di ogni Natale dal 1971 in poi; in cambio di una sonora risata, di volta in volta gli concede di vivere un anno in più, almeno fino al Natale del ’77, quando il Vagabondo si spense nella sua casa in Svizzera.
È stata una bella sorpresa questa lettura. La scrittura è scorrevolissima e la vita di Chaplin, qui presentata sotto forma di romanzo epistolare, si legge con piacere. Gli anni difficili della misera infanzia in Inghilterra, quelli del circo e dei primi spettacoli, l’emigrazione negli Stati Uniti, gli esordi nel cinema, i grandi successi e le altrettanto grandi amarezze, aneddoti del dietro le quinte e personaggi anche realmente entrati in contatto con lui (tra questi, Stan Laurel, il poi celebre Stanlio): c’è tantissimo in questo libro, tutto raccontato con semplice delicatezza e passione dall’autore che ci regala così il ritratto di un grandissimo artista; anzitutto di un comico, un comico triste.
In particolare, quasi alla fine, mi ha colpito un passo sulla comicità che riporto di seguito:
“Il trucco è sempre lo stesso: fare in modo che qualcosa vada storto e che il mondo appaia rovesciato, sottosopra. Il meccanismo della comicità è un meccanismo sovversivo. Se un gigante cerca in ogni modo di aprire una porta e non ci riesce, ma subito dopo la porta si apre a un gatto, a un bambino, a un povero vagabondo è tutto il contrario di quanto accade nella vita. […]La comicità è mancina come me […]. Irride i ricchi, rimette le cose a posto, ripara le ingiustizie. […] chiude le porte ai prepotenti e le fa aprire ai deboli e agli indifesi, anche se solo per il lampo di un sorriso. È quest’incredulità che ci riempie gli occhi di lacrime. Sin dall’inizio, […]suscitare il riso e le lacrime è stata la mia infantile protesta contro la miseria, la malattia e il disprezzo, e il mio rifiuto dell’odio e di tutte le forme sbagliate che finiscono per governare le relazioni umane. È stupefacente, a pensarci, quanto sia facile a contagiarsi l’allegria e quanto triste e malato sia invece il mondo.”
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