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La classe borghese non va in paradiso
Piacevole scoperta questo romanzo di Moravia piuttosto noto anche in considerazione della trasposizione cinematografica di Godard che in qualche modo ha orientato la mia scelta nella lettura. La vicenda è narrata in prima persona dal protagonista Riccardo Molteni, di professione sceneggiatore per il cinema, che racconta la crisi matrimoniale con la moglie Emilia scoppiata dopo due anni felici di matrimonio in cui capisce che “La felicità è tanto più grande quanto meno la si avverte”. Emilia progressivamente si distacca da Riccardo, con una banale scusa decide di non dormire più nello stesso letto, quindi comincia a trattarlo con una certa freddezza, fino ad evitare qualsiasi forma di contatto fisico. Si assiste ad un crescendo di tensioni, Riccardo sempre più sofferente cerca in tutte le maniere di capire il motivo di questo inspiegabile cambiamento fino a quando Emilia, messa alle corde ed esasperata, confessa di disprezzare il marito (“io ti disprezzo…ecco quello che provo per te…Ti disprezzo e mi fai schifo”). Il tema di questo segreto disprezzo mai motivato, né spiegato da Emilia, scorre inesorabilmente lungo le pagine del romanzo, rappresenta l’ossessione di Riccardo desideroso di riconquistare la moglie in tutti i modi e viene in qualche modo svelato solo nelle pagine finali attraverso le riflessioni del protagonista che scava nel proprio passato.
Emblematica della condizione di Riccardo, come ulteriore gravame a suo carico, è rappresentato dal tormento di doversi occupare della sceneggiatura per un nuovo film, la trasposizione cinematografica dell’Odissea di Omero. Egli deve barcamenarsi tra due differenti visioni dell’opera: quella del produttore che vorrebbe una sceneggiatura in perfetto stile kolossal con tanto di mostri, donne nude, sangue ed avventura, e dall’altra parte quella del regista che invece interpreta l’Odissea come un drammone psicologico, strizzando l’occhio alle teorie di Freud sul subconscio, in cui la lontananza di Ulisse da Itaca è in realtà voluta e rappresenta la conseguenza della crisi matrimoniale tra Ulisse e Penelope. Per Riccardo, che odia scrive sceneggiature e che sembra accettare questo lavoro solamente per pagare le rate dell’appartamento e della macchina nuovi, il dilemma sta nel scegliere tra buttarsi a capofitto nella scrittura oppure abbandonare tutto, avendo dell’opera una terza versione tutta sua in contrasto con quella del produttore e del regista. Una visione assolutamente poetica e “sospesa nel tempo”, sulla falsariga dell’Ulisse descritto e rappresentato da Dante nel XXVI canto dell’Inferno. Lavoro e vita sentimentale sembrano così incastrarsi, tanto che Riccardo riveste la sua decisione di accettare o rifiutare la sceneggiatura, di un significato profetico, in grado di cambiare le sorti del suo matrimonio e riconquistare Emilia, fino a sovrapporre la sua persona con quella di Ulisse capace di sconfiggere i Proci per poi ricongiungersi con l’amata Penelope.
Nel disprezzo, così come in altre opere di Moravia, viene riproposto il tema della classe borghese italiana, quella che emerge prepotentemente nel secondo dopoguerra, desiderosa di conquistare una “felicità artificiale”, di trovare un appagamento dal possesso di beni, come nel romanzo appunto in cui Molteni aspira ad acquistare una casa nuova, una macchina, sacrificando le proprie aspirazioni lavorative al “dio denaro” e diventando in qualche modo schiavo del potere di un produttore cinematografico che non ha scrupoli nel piegarlo ai propri voleri. La stessa Emilia, sebbene intensamente amata e desiderata, viene descritta dal marito con parole non certo lusinghiere, pare anzi essere la causa delle scelte professionali di Riccardo (“non avevo sposato una donna che condividesse e comprendesse le mie idee, i miei gusti e le mie ambizioni; avevo invece sposato, per la sua bellezza, una dattilografa incolta e semplice, piena, come mi pareva, di tutti i pregiudizi e le ambizioni della classe dalla quale proveniva”) tanto che verso la fine del storia, viene inquadrata da Molteni come una “donna non civilizzata”, che incarna in sé atteggiamenti “primitivi”, degli archetipi, in cui la figura dell’uomo, del marito, assurge a quella di capo branco che dovrebbe essere in grado di difendere la propria compagna anche con la forza se necessario.
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Commenti
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Non so se sia il più bel romanzo di Moravia, ma penso che sia sicuramente quello di maggior leggibilità.
Che figura squallida fa il mondo del cinema !
In effetti il mondo del cinema ne viene fuori con "le ossa rotte", ma certe dinamiche legate al business credo siano attuali anche ai nostri giorni.
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