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In cima al Sumeru
Come ogni anno, in seguito alle premiazioni dello Strega nasce in me la voglia di leggere l'opera che si è aggiudicata la vittoria di uno dei premi più prestigiosi della letteratura italiana; una voglia che non viene assecondata quasi mai, magari perché ero scoraggiato dalla mole troppo esagerata del libro vincitore (vedi "La scuola cattolica di Edoardo Albinati), vuoi perché ero impegnato in altre letture che non potevo interrompere. "Le otto montagne" di Paolo Cognetti, invece, mi ha trovato in un momento favorevole e devo dire che mi intrigava, perciò l'ho comprato e l'ho letto, carico di curiosità.
Devo dire che, pur non avendo letto le altre opere in gara, Cognetti non ha assolutamente disonorato lo Strega con la sua vittoria, perché questo libro è assolutamente meritevole di un premio. Il suo stile è piacevole, carico di dettagli senza mai risultare pesante, riflessivo ed efficace, oltre a lasciar trasparire una profonda conoscenza di tutto ciò che l'autore racconta. E' evocativo, in certi tratti.
All'inizio di questa storia, Pietro è ancora un ragazzino che si ritrova costretto a trasferirsi a Milano; ma non sarà tanto lui a soffrire il cambiamento, ancora troppo piccolo per capire, quanto i suoi genitori, che della città non sanno nulla e sono amanti sinceri delle montagne in cui sono cresciuti. Molto presto però, scopriranno il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, e compreranno una piccola casetta in cui passare le proprie estati e poter rivivere le gioie passate, le gioie che solo la montagna può regalare.
Pietro cresce in questo contesto, con nove mesi senza gioia da vivere in città (dei quale il lettore non saprà nulla, perché privi di importanza) e un'estate in cui potrà godersi quel mondo al quale scoprirà di appartenere e dove stringerà l'amicizia di una vita, quella con il giovane montanaro Bruno.
Quella tra Pietro e Bruno sarà un'amicizia che non farà altro che crescere nel corso degli anni, congelandosi nei mesi in cui Pietro deve tornare in città per poi ritrovarsi per nulla scalfita in quei mesi estivi in cui la montagna apre le braccia e li accoglie dopo un inverno rigido. Quei due giovani ragazzi cresceranno fino a diventare uomini, affrontando le difficoltà e le prove che la vita mette davanti a tutti e subendo un'evoluzione a cui nessuno può scampare, nel bene e nel male.
La montagna è una spettatrice di tutte queste evoluzioni, di questi tormenti e queste gioie di vita, ma non si limiterà a godersi lo "spettacolo", essa è il fulcro intorno al quale ruotano queste vite; un ostacolo da superare; una meta da godersi; un pericolo da non sottovalutare.
La montagna è un'entità mistica, una metafora della vita e del viaggio che, ogni giorno, ci ritroviamo ad affrontare.
"Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l'alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c'è più niente per te, mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte. Ecco come avrei dovuto rispondere a mio padre. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa."
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Poi sull'opera vincitrice dello Strega, forse ha agito su di me lo stesso pregiudizio al contrario di cui parla Laura. Il ragazzo selvatico era edito da Terre di Mezzo, non dalla prestigiosa Einaudi. E quando ho saputo che era tra i candidati alla vittoria del premio, ho contiuato a rimandare la lettura Più che un pregiudizio, deve essere stato un atteggiamento altrettanto malato del tipo: "troppo facile leggerlo adesso, che lo conoscono tutti!".
Vale.
Vale.
Federica
Vale.
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