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I figli della miseria
“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.” Così descrive l’arminuta, la ritornata, protagonista del bellissimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, il vuoto generato in lei dall’abbandono. Respinta incomprensibilmente da una madre amorevole, strappata, ancora adolescente, a una vita confortevole e immersa, poi, in una realtà scomoda, dura da accettare come luogo di appartenenza, fatta di miseria e miserie, di volgarità e squallore, l’arminuta sopravvive nell’ansiosa ricerca della verità, di una verità accettabile che non sia irreparabilmente mortificante.
Così inizia la sua crescita, dolorosamente divisa tra l’amore per colei che ha sempre chiamato mamma e lindifferenza per “la madre” l’estranea che l’ha ceduta nonostante l’avesse messa al mondo. Così sradicata, senza più punti di riferimento questa adolescente ferita, rientrata a far parte di un mondo di diseredati, stabilisce nuovi vincoli affettivi con i fratelli, privilegiando la sorella Adriana che riesce in piccola parte a colmare il vuoto abissale lasciato nel suo cuore dal tradimento delle due madri.
La vicenda, ambientata in un Abruzzo aspro tra gente che si esprime quasi solo in dialetto, rende magnificamente l’idea dei luoghi e delle tradizioni locali. Donatella Di Pietrantonio è riuscita a toccare tutte le corde del sentimento, senza mai eccedere, con sobrietà e equilibrio: ci ha regalato un romanzo bellissimo, scritto benissimo, con uno stile molto particolare, che avvince e incanta.
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