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L'invisibile imperfezione delle cose
Alessandro Defilippi in Manca sempre una piccola cosa ha un protagonista assoluto: Giorgio Aguirre, che si laurea in medicina, ma non intende seguire la professione di entrambe i genitori. Decide di trasferire la sua speciale inclinazione dall’uomo alle macchine, per cui diventa radiologo industriale:
“non fratture, ma rotture”,
è il suo programma. C’entra nella scelta la ripugnanza provata alle esercitazioni di anatomia, rafforzata forse dalla notizia di un atroce fatto di sangue, il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate rosse. Giorgio è una persona assolutamente originale, dotato di una vista acutissima, quasi di preveggenza, che gli permette di scoprire nelle lastre lattiginose le minime, inafferrabili imperfezioni dei materiali. Così, fin dal suo primo lavoro in una fabbrica di elicotteri, riesce ad evitare disastri, suscitando nei colleghi, insieme all’ammirazione e all’invidia, un vago senso di paura. Si sente, invece, spronato dal Rospo,
“un tecnico magro e lunare”,
una sorta di gnomo affettuoso e filosofeggiante, che pretende una dedizione assoluta al Mestiere, inteso come una ricerca delle Ombre, attraverso le quali occorre passare
“per non restare bestie, per andare oltre”.
Giorgio, inquieto, lascia Torino e si trasferisce prima in Belgio, poi in Alaska, a cercare falle nelle fiancate di aerei e nei condotti petroliferi. Soltanto materne figure di donna sembrano scuotere, nell’accensione dei sensi, il suo oscuro desiderio di libertà. Con la sua vista sempre portata ad individuare anche le magagne fisiche e morali degli uomini. Così si spiega il suo andare ramingo, la sua sorda chiusura agli affetti, l’egoismo che risulta con ogni evidenza auto protettivo:
“come se delle cose, delle persone, lui non vedesse che i difetti, la mortalità. E non gli importasse che questo.”
Vedere dappertutto la rovina e la morte è il peccato che gli rimprovera il Rospo. Ma questa disposizione “viziosa” è dovuta ad una latente malattia degli occhi che ha acuito paradossalmente la sua vista. Giorgio rientrerà a Torino, accudirà la madre, mediterà sulla lezione del Rospo, che lo esorta ad un universale sentimento di pietà e alla serena accettazione dell’”infinito oscillare delle cose e delle vite”, a una conclusione che è anche un inizio, mentre sul passare degli evi e delle generazioni
“scivolerà l’ombra di Dio.”
Un bel romanzo ricco di riferimenti letterali e culturali, che riesce tuttavia ad essere affidabile e coinvolgente.