Dettagli Recensione
quando il destino si accanisce
Attirata dal titolo, dalla fama dell'autore e dalle positive recensioni, mi sono immersa nella lettura di questo romanzo piena di aspettative. Troppe o forse troppo elevate, il risultato è che il testo mi ha un po' delusa e non sono riuscita a scorgervi la profondità e la bellezza riscontrate da molti lettori.
Mirta è una giovane moldava giunta a Roma a lavorare per dare a se stessa e ai suoi cari rimasti in patria l'opportunità di una vita migliore. La morte improvvisa di sua madre la costringe a collocare suo figlio dodicenne, Ilie, in un orfanotrofio nel quale trovano ospitalità sia i bambini senza genitori, sia i casi come Ilie, definiti 'orfani bianchi'. Nella speranza di poter guadagnare abbastanza per consentire al figlio di raggiungerla in Italia, Mirta, con qualche sotterfugio riesce ad aggiudicarsi un impiego come badante presso la ricca famiglia di un'anziana colpita da ictus, ormai ridotta a “corpo in decomposizione” e stanca di vivere. Superate le prime difficoltà relazionali con l'inferma, la fortuna sembra arridere a Mirta: oltre ad un lavoro ben pagato, riceve infatti anche una seria proposta di convivenza da parte di un caro amico e si prospetta per lei e per il figlio l'opportunità di avere finalmente una casa e una famiglia. Ma quando tutto pare volgere al lieto fine, irrompe nella storia un duplice tragico evento che chiude improvvisamente e in modo drammatico l'intera vicenda.
L'intreccio è coinvolgente e le tematiche affrontate in questo romanzo sono attuali e complesse, inoltre non si può dire che a Manzini manchi la capacità di tenere il lettore incollato alle pagine dalla prima all'ultima riga; eppure, a mio avviso, qualcosa non va, ci sono diversi elementi che non mi hanno convinta.
Innanzitutto la caratterizzazione dei personaggi: fatta eccezione per Mirta, tutto sommato ben delineata, le altre figure risultano stereotipate, spesso costruite su discutibili luoghi comuni e poco approfondite dal punto di vista psicologico tanto da risultare scarsamente credibili. Cito, a titolo di esempio, l'anziana signora Eleonora, la donna di cui Mirta si occupa. Descritta come molto malata, incapace di muoversi e perfino di parlare (viene definita “mummia”) fa alla badante una serie di dispetti espletando ripetutamente le proprie funzioni fisiologiche, gettando a terra stoviglie, mordendole la mano con la dentiera. A questi fatti, discutibili, ma ancora plausibili, se ne aggiungono altri che rendono il personaggio incoerente: misteriosamente, di notte, Eleonora si muove e parla esprimendo non solo le proprie volontà, ma dando anche prova di acute riflessioni su ciò la circonda. La signora Eleonora, che avrebbe potuto svolgere un ruolo chiave nella vicenda, ne esce invece come una “macchietta” artefice di gag tragicomiche le quali, pur strappando un sorriso, fanno a mio avviso scadere il romanzo, soprattutto alla luce del tragico finale.
La conclusione del libro è poi un altro elemento che mi ha lasciata perplessa: presentati i personaggi, costruito l'intreccio e intavolate scottanti tematiche (l'inconsolabile disagio dei bambini lasciati dalle madri migranti nelle terre d'origine, la difficile convivenza tra culture ed etnie diverse, la drammatica solitudine degli anziani, il desiderio di poter porre fine alla propria vita quando non è più considerata dignitosa) Manzini tronca il tutto bruscamente con un colpo di scena in netto contrasto con l'atmosfera che stava delineando nel testo.
Pertanto pur avendo apprezzato di “Orfani bianchi” l'idea e le tematiche, sono rimasta delusa dal modo superficiale con cui l'autore le ha affrontate; avrei inoltre preferito maggiore coerenza stilistica e una conclusione meno precipitosa. Proverò a dare a Manzini un'altra possibilità leggendo uno dei suoi gialli, magari partendo con aspettative diverse.
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