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Nascere, vivere e morire.
Nella Sardegna al trapasso tra il mondo contadino e la società dei costumi moderni si dipana una storia in cui le protagoniste sono donne. Un’accabadora, colei che finisce, l’ultima madre che accompagna i moribondi al loro destino con un gesto di pietà e sollievo. Una bambina, poi ragazza e donna, che dall’accabadora viene adottata, salvata da un destino di indigenza e con il beneplacito della sua madre naturale.
È un universo di valori lontani dalle prospettive moderne, valori che popolano l’orizzonte duro di una società abituata a far fronte alla miseria.
Su questo sfondo si svolge una vicenda che assume i toni di un romanzo di formazione. Un romanzo che parla di un modo tanto diverso dal nostro di concepire la famiglia, la vita e la morte, i ruolo dei sessi, ma al contempo capace di mostrarlo naturale e condivisibile: se una donna non sa di che sfamare il proprio figlio è normale che un’altra lo prenda come proprio; se alle sofferenze di un malato non c’è più rimedio è naturale aiutarlo a mettervi fine.
Lineare l’intreccio, da potersi quasi dire povero, ma sostenuto da uno stile magistrale, evocativo, capace di gonfiare il significato delle parole. Non manca quel tentativo di ritrovare una lingua primitiva, ancestrale, che lasci trasparire i toni e i suoni di un mondo lontano, sì, ma la cui memoria, con qualche sforzo, può ancora essere ritrovata.
Da leggere senza dubbio.
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