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Non è la tigre di Sandokan e neppure Shere Khan
Piccola Tigre e Tigrotto sono due cuccioli di madre siberiana (“Piccola Tigre non è la tigre di Sandokan e neppure Shere Khan, le nebbie vaporose dei tropici le sono sconosciute…”). Mamma tigre li addestra alla caccia (“Tutto ciò che cammina prima o poi ha bisogno di bere”) e li mette in guardia dall’uomo (“No, l’uomo uccide solo per uccidere”), ma presto si accorge che la femminuccia è originale: curiosa, sempre alla ricerca, spesso distratta.
Quando è il momento di lasciare che i figli conquistino il loro regno, mamma tigre si allontana per lasciare alla figlia – che non sembra troppo adatta alla lotta – il proprio territorio. Ma Piccola Tigre si lascia trasportare dalla curiosità e viaggia…
S’imbatte così nell’uomo della capanna, erede di sciamani, che l’accoglie e ne diventa amico.
Ma gli altri uomini sono in agguato, sempre pronti a imporre la loro orrenda, scellerata logica di morte e a rovinare tutto (“Sappiamo che hai una tigre che ti obbedisce come un gatto… Siamo venuti per proporti un affare”).
Piccola Tigre, ormai adulta, conosce la prigionia del circo e sarà proprio un bambino – il piccolo acrobata – a restituirle la libertà…
Carica di metafore, nonostante qualche forzatura, questa fiaba scorre sui ghiacci siberiani e scala i monti per regalare una visione struggente del mondo ultraterreno, ove animali, uomini e natura trovano finalmente l’armonia.
Giudizio finale: allegorico, favolistico, ricompositivo.
Bruno Elpis