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Una divertente commedia di provincia sulle piccole
Ugo Tognazzi nel 1970 prestò il volto ad Emerenziano Paronzini, protagonista de “La spartizione” di Piero Chiara, nella sua trasposizione cinematografica dal titolo “Venga a prendere il caffè… da noi” di Alberto Lattuada, regalandoci una magistrale interpretazione di quella “dimensione di mediocrità” che è la cifra di questo personaggio.
Tenendosi sulla sponda orientale del lago Maggiore, in quella Luino che troviamo in ognuno dei suoi romanzi, Piero Chiara – questo grandissimo, un po’ trascurato - ambienta anche questa storia nel recinto confortevole di una provincia chiacchierona e pettegola, pescando fra aneddoti, ricordi di infanzia, pettegolezzi, intrighi, nostalgie e creando un efficacissimo mix di sarcasmo e cinismo.
Nella vita morigerata e monotona delle tre sorelle Tettamanzi, rassegnate al loro destino di bruttezza, irrompe il Primo Archivista Emerenziano Paronzini, reduce della prima guerra mondiale, da poco trasferitosi in paese.
Deciso ad accasarsi e attirato dalle loro piccole ma sufficienti proprietà, il Paronzini comincia a frequentare la casa, assistendo impassibile allo sfoggio delle loro modeste armi di seduzione (chi le mani, chi le gambe) e scegliendo alla fine la meno problematica delle tre, la maggiore, Fortunata, perché saggia e dotata di buon senso.
Dall’ingresso in casa del Paronzini le sorelle subiscono una lenta ma costante metamorfosi: mettono su carne, approfondiscono le curve, perdono il cipiglio che le contraddistingueva per diventare cordiali ed affabili.
Un nuovo equilibrio a quattro si instaura lentamente nella famiglia Tettamanzi: la presenza di un uomo ridesta le sorelle dal torpore sensuale nel quale versavano, ed è l’inizio di uno strano e divertente menagè che Teresa, la domestica, assiste esterrefatta e che avrà un epilogo ironico e beffardo.
Piero Chiara è bravissimo nel non affondare mai nel torbido ma nel lambirlo, non perdendosi nelle minuzie degli incontri sessuali quanto piuttosto descrivendoci, con sguardo divertito e ludico, le dinamiche che essi generano.
Con l’eleganza di un vecchio signore di provincia ci descrive la realtà brulicante che si nasconde sotto il sottile velo di ipocrisia, sotto quel bisbigliato di paese che genera le “nomee”, le reputazioni, e lo fa con una prosa asciutta, straordinariamente leggibile, elegante nella sua essenzialità, che gli permette di trasformare una storia mediocre (perché di mediocri) in una vicenda surreale e irresistibilmente comica, venata di nostalgia.
Un autentico capolavoro.