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La maternità di Silvia Avallone.
Silvia Avallone dopo la Piombino di Acciaio e la vallata nel Biellese di Marina Bellezza, ora racconta le vite di ragazzi, uomini e donne in una lontana, arrabbiata ed ambiziosa periferia di Bologna in Da dove la vita è perfetta.
E’ una storia di amore e di abbandono, di genitori e figli, di attese e di rinunce. Il tema di questo libro è la maternità. Narrata con pignoleria per tutto il percorso: test di gravidanza, esami, calendario delle ecografie, travaglio terribile e parto. Quella maternità vissuta come una maledizione e quella desiderata. C’è una gravidanza adolescente. Poi una maternità agognata ma non realizzata e quindi dettagliata tra inseminazione artificiale ed adozione. Temi sviluppati da tanti personaggi: genitori e figli, tutti infelici. I padri sono sempre bastardi ed assenti, le madri sfiancate ed arrabbiate, rovinate. Tutti frustrati, con vite piene di disagio, che fanno fatica. La scrittura è intensa e anche coinvolgente, le note tragiche, i riferimenti colti.
“Ne aveva seguiti i movimenti dei piedi, dei gemiti, delle ginocchia attraverso la pelle. L’aveva sognata. E provato ad immaginarla nelle immagini delle ecografie. Ma adesso che la vedeva per la prima volta, capiva che non era né conosciuta né ignota. Era sua. Così tanto da schiantarle il cuore.”
Lo scopo dell’autrice è di essere realista, descrive con impegno realtà squallide che ci circondano. I suoi protagonisti sono gli ultimi. Indugia sui casermoni che erano già presenti in Acciaio, i centri commerciali come mete agognate dagli adolescenti senza ideali e tanto tempo da ammazzare, già presenti in Marina Bellezza:
“Ad ogni piano le porte degli appartamenti erano spalancate, forse per fare corrente. Ma la corrente non c’era.”
Poi confronta questi luoghi con le belle vie medievali di Bologna, luoghi carichi di storia, esenti dall’abuso edilizio. Qui vivono i più fortunati, quelli che hanno studiato e hanno un buon reddito. Lo stile è molto vivido, i dialoghi sono realisti, anche quando girano al dramma. E al termine un messaggio di speranza: la cultura ci salverà. Forse?