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una storia di immigrazione "nostrana"
L’ultimo lavoro polifonico del collettivo calabrese Lou Palanca, edito dalla casa editrice Rubbettino, riconsegna alla Storia le vicende delle contadine che negli anni ’60 lasciavano la Calabria per le Langhe piemontesi, grazie a matrimoni combinati da abili “bacialè”, intermediari tra famiglie. Ci sono storie di migrazioni interne dimenticate in un Paese come il nostro, alle prese con nuove migrazioni. Storie di uomini e donne che altrove “hanno trovato una vita e ci si sono arrampicati sopra. Un’altra vita. L’unica possibile.”.
Da queste storie nasce Ti ho vista che ridevi.
Si inizia con la narrazione della vita di una giovane di Riace, Dora, che si ritrova incinta. A tessere la trama del racconto è un uomo di mezza età, che alla morte della madre scopre il segreto della sua nascita. Sono storie che hanno una comune sensibilità, che è quella rivolta alla necessità vitale di opporsi ad un sistema di regole coercitivo, che non dà respiro ad una voglia di riscatto individuale e sociale. La via di fuga è quella intrapresa di Dora, formando una nuova famiglia nelle Langhe. Le Langhe, salvate da tante “calabrotte” giunte fin qui attraverso i sensali matrimoniali, con le loro solitudini, i loro sacrifici, hanno salvato le Langhe, come sostiene Carlo Petrini nell’Introduzione, e nuove donne potranno salvare, forse, la Calabria, terra di tanti misteri, di piccoli e grandi segreti mai indagati, mai raccontati. Questi segreti riaffiorano nelle pieghe del racconto, come quello di Ponziano Salerno, rapito e costretto a vivere per diversi mesi in condizioni misere. Un viaggio ai confini della memoria personale e collettiva, ma anche il viaggio interiore di un’esistenza fino ad allora priva di slanci. Un libro commovente e soprattutto riflessivo.